Ottobre 2018

 

Non solo epatite C. La salute del fegato e' minacciata anche dal grasso, quello che si annida a livello della pancia e che si va a depositare proprio all'interno di questo organo vitale. Una nuova sfida per la salute del fegato, legata all'incremento dell'obesita', che si somma a quella non ancora del tutto risolta rappresentata dall'epatite C.

Il cosiddetto 'fegato grasso', infatti, e' la porta d'ingresso per lo sviluppo della steatoepatite non alcolica (NASH), malattia grave che puo' danneggiare irrimediabilmente il fegato.

Delle nuove sfide e di come affrontarle hanno parlato medici, associazioni pazienti e istituzioni riuniti al convegno 'Dopo l'HCV, le nuove emergenze per la salute del fegato', promosso da Gilead Sciences, che si e' svolto a Roma. Perche' per agire in maniera efficace contro le malattie epatiche e' necessario l'impegno congiunto di tutti e la capacita' di garantire l'accesso alle cure anche alle popolazioni che ne sono ancora escluse.

NASH, LA NUOVA SFIDA - In Italia piu' di un terzo della popolazione adulta (35,3%) e' in sovrappeso, mentre una persona su dieci e' obesa (9,8%). Risultato: complessivamente, il 45,1% dei soggetti sopra i 18 anni pesa troppo. A questo fenomeno si lega l'aumento della steatosi epatica (NAFLD), l'accumulo di grasso nel fegato o 'fegato grasso', che viene calcolato colpisca il 25-30% della popolazione. "Data la crescente percentuale di persone obese in Italia, tra cui anche bambini, anche la prevalenza della NAFLD sta crescendo e, dal punto di vista delle patologie del fegato, rappresenta ora e soprattutto in futuro una nuova sfida da vincere", lo ha detto Salvatore Petta, segretario dell'Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF). L'accumulo di grasso, infatti, puo' progredire provocando l'infiammazione del fegato, la steatoepatite non alcolica (NASH), detta cosi' perche' non associata al consumo di alcol. Una condizione che colpisce il 2-3% della popolazione e che a sua volta porta allo sviluppo di fibrosi, cirrosi e infine epatocarcinoma.

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Appuntamento a Filadelfia - il 24 ottobre - per celebrare la sesta edizione della World Polio Day. Un evento che quest'anno si svolge nell'ambito di uno storico anniversario: quello della Global Polio Eradication Initiative (Gpei), lanciata 30 anni fa, nel 1988, alla Convention del Rotary a Filadelfia. All'epoca, nel 1988, quando l'Organizzazione Mondiale della Sanita' (Oms) entro' a far parte della Gpei, approvando una risoluzione specifica, la malattia paralizzava dieci bambini ogni 15 minuti, in quasi tutti i paesi del mondo. Oggi, grazie alle estese campagne di vaccinazione- l'unica arma che rende la malattia evitabile- e ai sistemi di sorveglianza, pochi casi di polio sono riportati nel mondo. Tuttavia, tre paesi non hanno mai smesso di registrare casi di poliomielite, rimangono cioe' endemici: Afghanistan, Nigeria e Pakistan.

LA MALATTIA - La poliomielite, e' una patologia infettiva, acuta, molto contagiosa, determinata da un virus (poliovirus) che colpisce le cellule neurali, inducendo una paralisi (paralisi flaccida acuta) che, nei casi piu' gravi, puo' divenire totale. Esistono tre forme di poliomielite paralitica: la forma spinale e' la forma piu' comune e si caratterizza per una paralisi asimmetrica che interessa principalmente le gambe. La forma bulbare causa debolezza muscolare di quei muscoli che sono innervati dai nervi cranici. La forma bulbo-spinale e' una combinazione delle prime due. Descritta nel 1789, la poliomielite e' stata registrata per la prima volta in forma epidemica nell'Europa di inizio XIX secolo e poco dopo negli Stati Uniti. Non esistono cure, se non trattamenti sintomatici che possono solo in parte minimizzare gli effetti della malattia. L'unica strada per evitare potenziali conseguenze e' la prevenzione tramite vaccinazione. In Italia, nel 1958, furono notificati oltre otto mila casi di poliomielite. Nel nostro paese la vaccinazione antipolio e' obbligatoria dal 1966 e l'ultimo caso endemico si e' verificato nel 1982. Nel 2001, l'Italia e tutta la Regione Oms Europa sono state definite polio-free.

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Una ricerca del Centro di Ricerca “E.Piaggio” dell'Università di Pisa e dell’Università del Lussemburgo apre nuove prospettive sullo studio del Parkinson grazie a tecniche innovative di coltura degli organoidi. La ricerca consentirà anche di arrivare a ridurre la sperimentazione farmacologica su cavie animali


Negli ultimi anni le tecniche di coltura in tre dimensioni di cellule staminali hanno visto dei progressi consistenti. Gli “organoidi”, i mini-organi così formati dalla struttura tridimensionale e dalle staminali che vi proliferano, forniscono un modello di come si sviluppa e vive un organo umano, imitandone struttura e funzionalità. Un risultato potenzialmente rivoluzionario per lo studio di alcune malattie, ma anche per i test farmacologici.

Questi modelli di organi hanno però dei limiti, principalmente dovuti alla difficoltà di creare ambienti che garantiscano a lungo la sopravvivenza delle cellule. Le cellule staminali infatti vi proliferano per un certo tempo, dando luogo agli stessi tipo cellulari che generano in vivo, ma poi, mancando nutrienti fondamentali nel suo interno, l’organoide muore. Dai laboratori del centro di ricerca dell’Università di Pisa “E.Piaggio” e dell’Università del Lussemburgo arrivano però nuove scoperte, che permetteranno agli organoidi di restare vitali, rendendoli modelli scientifici validi per lo studio di malattie come il Parkinson.

«La nostra ricerca – spiega Arti Ahluwalia, direttrice del Centro di Ricerca “E.Piaggio” dell’Università di Pisa - ha dimostrato che è possibile ingegnerizzare ambienti di crescita degli organoidi nei quali il flusso di ossigeno e nutrienti svolge una funzione di mantenimento delle condizioni vitali. In particolare, abbiamo testato questo metodo sull’organoide del mesencefalo: attraverso l’uso della tecnologia fluidica e modelli computazionali, mostriamo che le cellule all'interno dei mini organi, quando stimolate da un flusso, hanno una maggiore vitalità e si differenziano in maniera più efficace in neuroni dopaminergici, che sono importantissimi per il buon funzionamento del cervello. Infatti, la morte dei neuroni dopaminergici è una caratteristica del morbo di Parkinson. Inoltre, la sinergia di modelli computazionali e osservazioni al microscopio ci hanno permesso di individuare una soglia critica per la vitalità delle cellule, che ci permetterà di ottimizzare ulteriormente il protocollo di generazione di questi cervelli in vitro».

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Il gas radon è la seconda causa di tumore ai polmoni dopo il fumo, i geologi: da otto mesi l’Italia è in condizione di infrazione rispetto alla Direttiva europea 2013/59 Euratom

Il 26 ottobre, dalle ore 9 alle 17, il Consiglio Nazionale dei Geologi organizza il Convegno “Radon rischio geologico dalla terra un pericolo invisibile per la salute: quanti lo conoscono?” al CNR di Roma

Il radon è un gas nobile radioattivo naturale, incolore, insapore e inodore ed è considerato la seconda causa di tumore ai polmoni dopo il fumo da sigaretta. A livello mondiale è il contaminante radioattivo più pericoloso negli ambienti chiusi. Per far luce sulle problematiche del rischio provocate da un’esposizione al radon presente nell’aria, il Consiglio Nazionale dei Geologi organizza a Roma, il 26 ottobre 2018 dalle ore 9 alle 17 il Convegno Nazionale “Radon rischio geologico dalla terra un pericolo invisibile per la salute: quanti lo conoscono?” presso il CNR (Piazzale Aldo Moro n. 7).

In Italia il tumore al polmone è il terzo cancro più diagnosticato dopo quello della mammella e del colon retto: 41.500 casi del 2018 rispetto ai 41.800 nel 2017. L’Istituto Superiore di Sanità ha stimato che il 10 per cento dei circa 31.000 casi di cancro ai polmoni che si segnalano ogni anno è attribuibile a una prolungata esposizione a questo gas: 3200 nuovi casi di tumore dovuti proprio al radon. Durante il convegno sarà presentato il documento finale prodotto nell’aprile 2018 dal tavolo specifico sul problema radon istituito dal Consiglio Nazionale dei Geologi. Il documento si rifà alla Direttiva 2013/59/Euratom rispetto alla quale l’Italia si trova in condizione di infrazione da febbraio 2018. Tale direttiva prevede l'introduzione di livelli di riferimento di radon inferiori a 300 Bq/m3: se da un lato tali livelli sono più bassi di quelli indicati dalla legge italiana per gli ambienti di lavoro, che stabilisce un limite di 500 Bq/m3, dall’altro, si tratta di un valore superiore a quello proposto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, che raccomanda un livello medio di riferimento pari a 100 Bq/m3. Per quanto riguarda invece le abitazioni, in Italia fino ad oggi non è stata ancora emanata una normativa specifica di riferimento.

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La mancanza di questa proteina fa prevalere le fibre muscolari che si contraggono lentamente su quelle a contrazione più rapida. Gli animali che ne sono sprovvisti hanno maggior resistenza all’affaticamento ed un maggiore dispendio energetico, con conseguenze sul metabolismo. Ad indicarlo uno studio dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Cnr pubblicato su Scientific Reports

Uno studio dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibcn) ha dimostrato per la prima volta come l’assenza di ciclina D3, proteina che presiede e regola il ciclo cellulare, sia in grado di influenzare la fisiologia dei muscoli. In particolare, oltre alla sua fondamentale funzione di controllo della proliferazione delle cellule muscolari, la proteina svolge un ruolo cruciale nella regolazione dell’espressione di geni selettivi per specifiche fibre muscolari. Lo studio è pubblicato su Scientific Reports.

“Gli animali che mancano del tutto della ciclina D3 presentano un aumento significativo di fibre muscolari che si contraggono lentamente, cioè quelle specializzate nel lavoro muscolare di tipo aerobico e resistenti all’affaticamento. Le fibre di questo tipo consentono di sostenere attività e sforzi duraturi e prolungati nel tempo, come una corsa su lunghe distanze. L’assenza della proteina permette a queste fibre di ‘occupare il posto’ di quelle che si contraggono rapidamente, specializzate invece nel lavoro muscolare ad alta intensità e forza ma bassa resistenza alla fatica”, spiega Roberto Coccurello del Cnr-Ibcn.

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Dopo i 50 anni una donna su tre e un uomo su cinque sono destinati a subire delle fratture a causa della fragilita' ossea, e il numero di fratture odierno- una ogni tre secondi nel mondo- e' destinato ad aumentare vertiginosamente, molto piu' di quanto stia crescendo l'aspettativa di vita. Sono solo alcuni dei dati presentati oggi a Roma in occasione della Giornata Mondiale dell'Osteoporosi, che si celebra ogni anno il 20 ottobre, e contenuti nel Report "Ossa spezzate, vite spezzate: un piano d'azione per superare l'emergenza delle fratture da fragilita' in Italia" elaborato dalla International Osteoporosis Foundation (Iof) e sostenuto dalla Fondazione Italiana per la Ricerca sulle Malattie dell'Osso (Firmo), dalla Societa' Italiana dell'Osteoporosi del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (Siommms) e dalla Societa' Italiana di Ortopedia e Traumatologia (Siot). La presentazione del Report e' stata l'occasione per fare il punto sulla situazione attuale nel nostro Paese e mettere a fuoco le prospettive di cura di una condizione che troppi ritengono, a torto, un'inevitabile condanna della terza eta', ma che ha invece soluzioni mediche esistenti e praticabili. In particolare, il Report ha evidenziato il peso nascosto, ma molto gravoso, delle fratture da fragilita' in Italia.

I risultati, che fanno parte di un piu' ampio rapporto europeo elaborato da Iof, stimano che nel 2017 le spese sanitarie associate a fratture da fragilita' abbiano gravato sul Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) per 9,4 miliardi di euro, una cifra che silenziosamente minaccia di paralizzare l'intero sistema sanitario italiano. "Attualmente in Italia la percentuale di persone che hanno 65 anni o piu' e' stimata intorno al 23%, ma tale cifra e' destinata ad aumentare con l'incremento dell'eta' della popolazione italiana- afferma la Prof.ssa Maria Luisa Brandi, Presidente di Firmo e Ordinario di Endocrinologia presso l'Universita' di Firenze- Di conseguenza anche l'incidenza di condizioni croniche, come l'osteoporosi, e' destinata a crescere, portando a un aumento esponenziale delle fratture da fragilita' causate dell'osteoporosi".

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L’Università di Pisa partner della ricerca pubblicata su Nature Communications e basata sulle analogie fra l’ultimo periodo interglaciale e la situazione attuale


Più arido e con minori precipitazioni, potrà essere così il clima del Mediterraneo nei prossimi cento anni secondo quanto emerge da uno studio internazionale pubblicato su Nature Communications e al quale hanno partecipato come unici italiani Eleonora Regattieri e Giovanni Zanchetta del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. La ricerca, che complessivamente ha coinvolto 12 istituzioni fra cui l’University College di Londra come capofila, si basa sull’idea che l’analisi del clima passato, in questo caso l’ultimo periodo interglaciale (129-116 mila anni fa), possa fornire fondamentali indicazioni per capire le tendenze attuali e future.
“Lo studio dell'ultimo periodo interglaciale è particolarmente rilevante perché è stato caratterizzato da un intenso riscaldamento artico, con temperature più alte di alcuni gradi rispetto a quelle attuali e quindi paragonabili agli scenari di riscaldamento previsti per la fine di questo secolo”, spiega Giovanni Zanchetta.

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In Italia il 90 % dei casi di intossicazione da funghi si verifica nel trimestre settembre -novembre nei mesi in cui la raccolta di questi prodotti del bosco è più frequente. Tale raccolta deve rispettare soprattutto le regole degli ispettorati micologici, in casi infrequenti, tale intossicazione acuta può determinare anche la morte. Proprio in relazione alle intossicazioni acute, tra cui rientrano quelle da ingestione di funghi, la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS ha realizzato un percorso clinico assistenziale ad hoc - presentato questa mattina - nella Hall del Policlinico Gemelli.

Per sensibilizzare e informare l’opinione pubblica sui rischi di avvelenamento, gli esperti Alessandro Barelli e Maurizio Soave del Centro Antiveleni della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli, hanno elaborato un vademecum sulle intossicazioni da funghi con le indicazioni per evitare i rischi derivati dal consumo, facendo chiarezza sulla pericolosità di alcuni con l’intenzione di fugare paure ingiustificate e mettere in guardia dall’intossicazione.

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 Una nuova malattia genetica del neurosviluppo e' stata scoperta dai clinici e dai ricercatori dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesu', in collaborazione con l'Universita' di Roma Tor Vergata e l'Universita' di Amburgo. Si tratta di una patologia ultra-rara, finora orfana di diagnosi, cui sono noti solo 3 casi al mondo, 2 dei quali seguiti dall'ospedale della Santa Sede. La scoperta e' stata pubblicata sulla rivista scientifica American Journal of Human Genetics.

Alla malattia e' stato dato il nome FHEIG, che rappresenta l'acronimo delle sue purtroppo gravi manifestazioni evidenti: Facial dismorfism, Hypertrichosis, Epilepsy, Intellectual disability/developmental delay and Gingival overgrowth (dismorfismo facciale, ipertricosi, epilessia, deficit intellettivo/ritardo dello sviluppo e ipertofia gengivale).

All'origine della sindrome di FHEIG - hanno scoperto i ricercatori - ci sono alcune mutazioni del gene KCNK4, che e' stato possibile individuare grazie alle moderne tecnologie di sequenziamento del Dna utilizzate nei laboratori di genomica del Bambino Gesu' della sede di San Paolo Fuori le Mura. Il gene KCNK4 porta le informazioni per la sintesi di una specifica proteina chiamata TRAAK, un canale del potassio. Il canale permette il flusso del potassio attraverso la membrana cellulare. Un'attivita' fondamentale per diverse funzioni della cellula, tra cui la trasmissione dei segnali elettrici cellulari decisivi per lo sviluppo e la funzione delle cellule nervose. "Gli approcci tradizionali sono inefficaci per caratterizzare le basi molecolari della maggioranza delle malattie genetiche- spiega il dottor Marco Tartaglia, responsabile dell'area di ricerca genetica e malattie rare del Bambino Gesu'- Questo perche' si tratta di malattie rarissime, spesso di casi sporadici, non di grandi famiglie che possono quindi essere sufficientemente ricche di informazioni per individuare la mutazione attraverso approcci tradizionali".

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Mercoledì, 17 Ottobre 2018 09:30

Un metodo automatico per contare i pesci del mare

 

Computer vision ed intelligenza artificiale consentono a un team di ricercatori italiani e spagnoli, coordinato dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche, di monitorare in modo automatico le variazioni di abbondanza delle specie marine: lo studio è pubblicato su Scientific Report

In un recente articolo, pubblicato sulla rivista Scientific Report, un team internazionale di ricercatori coordinato dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Imar) di La Spezia, in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), l’Università Politecnica della Catalogna ed il Consiglio superiore di ricerca scientifica spagnolo (Csic), dimostra come la computer vision e l’intelligenza artificiale siano in grado di cambiare il modo in cui valutiamo l’abbondanza delle specie ittiche e le sue variazioni temporali.

Un esempio di correlazione tra dati di abbondanza ottenuti tramite conteggio manuale (linea rossa) e dati di abbondanza ottenuti tramite riconoscimento automatico (linea blu).


“La tecnica messa a punto si basa su una metodologia di apprendimento automatico supervisionato, ovvero un insieme di processi matematici che permettono ai computer di imparare a riconoscere e contare in modo automatico individui fotografati nel loro ambiente naturale o in prossimità di strutture artificiali di osservazione”, spiega Simone Marini di Cnr-Ismar, coordinatore del team internazionale. “L’applicazione di questi algoritmi su migliaia di immagini dimostra come il metodo possa essere utilizzato per tracciare in maniera affidabile le variazioni temporali di abbondanza di pesci in diverse condizioni operative. Abbiamo validato la metodologia su 22.000 immagini, contenenti circa 176.000 pesci, acquisite ogni 30 minuti, giorno e notte, per un periodo di due anni dall’osservatorio marino Obsea (http://www.obsea.es/) posizionato al largo di Barcellona e gestito dall’Università Politecnica di Catalogna e dal Csic spagnolo”.
L’efficacia dell’algoritmo nel riconoscimento degli individui è stata validata dell’Università Politecnica delle Marche in collaborazione con Ispra tramite metodologie statistiche capaci di correlare le variazioni di abbondanza stagionali con differenti variabili biotiche ed ambientali.

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