Venerdì, 13 Aprile 2018
 
 
Le infezioni correlate all'assistenza (Ica) rappresentano un problema globale che coinvolge fino al 15% di tutti pazienti ospedalizzati nel mondo. In Europa, circa 3,2 milioni di pazienti acquisiscono un'Ica ogni anno e 37mila muoiono come diretta conseguenza di tali infezioni, anche a causa dell'aumento di patogeni Ica-associati multiresistenti ad antibiotici. È noto che la persistente contaminazione delle superfici ospedaliere contribuisce alla trasmissione delle Ica, in quanto l'ambiente ospedaliero rappresenta il serbatoio di patogeni diffusi sia dai pazienti ospedalizzati sia dal personale sanitario.

I metodi finora usati per controllare la contaminazione microbica in ambiente ospedaliero, basati sull'uso di detergenti e disinfettanti chimici, mostrano pero' dei limiti, poiche' non possono prevenire la ricontaminazione, hanno un elevato impatto ambientale e possono inoltre contribuire alla selezione di patogeni resistenti ai disinfettanti stessi, ma anche ad antibiotici, contribuendo potenzialmente ad un ulteriore aumento degli stessi patogeni associati alle infezioni. Sulla base delle acquisizioni legate agli studi sul microbiota umano, il concetto di 'salute' delle superfici ospedaliere e' stato quindi recentemente ripensato considerando che, analogamente al corpo umano, piuttosto che eradicare tutti i microbi (patogeni e non), la sostituzione dei patogeni da parte di microrganismi buoni potrebbe essere piu' efficace nel prevenire le infezioni.
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Ha preso avvio a Caserta lo storico corso residenziale della Societa' Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale 'SIPPS & FIMPAGGIORNA 2018'. L'evento, dal titolo "Dalle Linee Guida alle Buone pratiche clinico-assistenziali" e' organizzato dalla Societa' Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale e dalla Federazione Italiana Medici Pediatri, e rientra nel programma di 'Educazione Continua in Medicina' del ministero della Salute. La SIPPS, insieme alla FIMP e alla Societa' Italiana di Medicina Perinatale (SIMP), ha deciso di approfondire, attraverso una Position Paper, il problema dell'adeguatezza delle diete vegetariane relativamente alla crescita e allo sviluppo neurocognitivo dei bambini, nonche' dei loro effetti come fattori di esposizione (sia di rischio che di prevenzione) per le patologie trasmissibili e non trasmissibili e per i disturbi della condotta alimentare, sulla base della ricerca e della valutazione delle evidenze scientifiche ad oggi disponibili, condotte secondo criteri metodologici validati. "Anche in Italia, come nel resto del mondo- ha spiegato Margherita Caroli, coordinatore del Position Paper sulle diete vegetariane in gravidanza e relatrice- il numero delle persone che abbracciano stili alimentari diversi, fra cui quelli vegetariani, declinati nelle varie forme, e' in aumento. In alcuni casi intere famiglie, a volte con conoscenze nutrizionali insufficienti, abbracciano nuovi modelli alimentari, intraprendendo un percorso che necessita peraltro di assunzioni calibrate dei diversi alimenti. I bambini quindi, soprattutto in questi casi, potrebbero venir esposti a stili alimentari non ideali per la loro crescita".
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Conservato presso il Museo di Antropologia “G. Sergi” della Sapienza, il corpo del guerriero, a cui mancano la mano destra, il polso e parte dell’avambraccio, è una importante testimonianza di amputazione perfettamente guarita e di pratiche di cura moderne

Il Laboratorio di Paleoantropologia e bioarcheologia del Dipartimento di Biologia ambientale ha analizzato i resti scheletrici di un antico guerriero longobardo ritrovato in una necropoli del Veneto e conservato presso il Museo di Antropologia “G. Sergi” della Sapienza, diretto da Giorgio Manzi. Dagli studi condotti insieme al Dipartimento di Scienze dell’antichità e alla Scuola di Dottorato in Archeologia della Sapienza, in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano, è emerso che il corpo del guerriero, a cui mancano la mano destra, il polso e parte dell’avambraccio, è una importante testimonianza di amputazione perfettamente guarita e di pratiche di cura moderne. I ricercatori hanno preso in considerazione diverse circostanze per spiegare da una parte le cause, e quindi cosa può aver portato all’amputazione dell’avambraccio, dall’altra gli esiti, ovvero come si sopravviveva 1300 anni fa, in un’epoca pre-antibiotica, a un’operazione così rischiosa.

“Il coltello era orizzontale, appoggiato al bacino mentre di norma viene sepolto al fianco del cadavere”, spiega Ileana Micarelli, primo nome dello studio. “Il braccio destro era piegato a 90 gradi, con radio e ulna tagliati al netto e al posto della mano c’erano una fibbia metallica e tracce di materiale organico, pelle o legno. L’amputazione è avvenuta con un colpo unico e senza anestesia”. Lo studio, pubblicato sul Journal of Anthropological Sciences (JASs), ha ipotizzato che l’uomo appartenesse alla prima generazione di longobardi arrivati in Italia dall’Europa dell’est, e che per una caduta da cavallo, una ferita di battaglia divenuta infetta o per la comminazione di una pena, potesse aver subito l’amputazione dell’avambraccio.

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