Luglio 2021

 

Su Molecular Cell pubblicati i risultati di una ricerca condotta da gruppi di ricerca di IEO e dell’Università Statale di Milano, e sostenuta da Fondazione AIRC.

Un gruppo di ricercatori del dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano ha identificato uno dei meccanismi molecolari che causa la “perdita di identità” cellulare. Si tratta di una caratteristica tipica delle cellule tumorali, e il meccanismo individuato potrà forse essere sfruttato per riportare tali cellule alla normalità. I risultati della ricerca, sostenuta da Fondazione AIRC, sono stati appena pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Molecular Cell.

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Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità dei mari italiani sono sempre più evidenti: lo confermano i monitoraggi condotti questa estate dai ricercatori del DiSTAV dell’Università di Genova nelle aree marine protette di Capo Carbonara Villasimius (Sardegna) e di Torre Guaceto (Puglia), due delle stazioni di studio del progetto “Mare caldo” di Greenpeace, che oggi collabora con ben otto aree marine protette per studiare l’impatto dell’aumento delle temperature nei mari italiani.

I monitoraggi condotti in Sardegna nell’area marina protetta di Capo Carbonara mostrano una situazione in rapida evoluzione: fenomeni di sbiancamento delle alghe corallinacee fino ai 35 metri, non presenti nell’area lo scorso anno, e gravi impatti sulle colonie di gorgonie, soprattutto tra i 20 e 30 metri di profondità, dove in alcuni siti si è riscontrata la morte del 90 per cento delle colonie di gorgonie gialle (Eunicella cavolini). Per trovare gorgonie gialle e bianche (Eunicella singularis) in buone condizioni bisogna scendere fino a 30-40 metri. Le gorgonie rosse (Paramuricea clavata) presentano invece ancora i segni delle morie registrate nelle estati tra il 2018 e il 2020 quando le temperature superficiali hanno superato di circa un grado le medie mensili. Il fenomeno di tropicalizzazione del Mediterraneo è inoltre sempre più evidente: aumentano le specie termofile native, tra cui il pesce pappagallo (Sparisoma cretense), la cernia dorata (Ephinephelus costae) e il vermocane (Hermodice carunculata), la cui popolazione è esplosa negli ultimi anni anche qui, come in Sicilia, segnale di un lento spostamento verso nord dell’abbondanza di alcune specie meridionali.

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I ricercatori del Gaslini e dell’Università di Genova contribuiscono a un maxi studio internazionale pubblicato su ‘’Nature’’, realizzato da 3500 ricercatori di 25 Paesi, che ha coinvolto 50 mila pazienti e 2 milioni di controlli sani. Lo studio ha identificato 13 regioni del genoma che portano alla forma grave di COVID-19; confermati fumo e obesità tra i fattori di rischio.


Quali sono i fattori genetici che possono influenzare il decorso della malattia da COVID-19, per cui alcuni pazienti sviluppano una malattia grave e altri manifestano sintomi lievi od addirittura assenti? Un maxi-studio studio realizzato con un’ampia collaborazione internazionale rivela che diversi marcatori genetici sono associati all'infezione da SARS-CoV-2 e possono influenzare la gravità del COVID-19. In particolare, 13 regioni genomiche (loci) aumentano il rischio di sviluppare forme gravi dell’infezione; confermati, inoltre, i fattori di rischio dipendenti dal fumo e dall’alto indice di massa corporea. Questi risultati provengono da uno dei più grandi studi di associazione sull'intero genoma mai eseguiti, che include quasi 50mila pazienti e due milioni di controlli sani.

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Il team di ricerca dell’Università degli Studi di Milano e del Policlinico di Milano, parte del progetto globale COVID-19 Host Genomics Initiative, ha contribuito a identificare 13 posizioni nel genoma umano e altri fattori predittivi che influenzano la risposta al COVID-19. I risultati appena pubblicati su Nature.

Quali sono i fattori genetici che influiscono sulla risposta al COVID-19, per cui alcuni pazienti sviluppano malattie gravi e pericolose che richiedono il ricovero in ospedale, mentre altri se la cavano con sintomi lievi o addirittura senza alcun sintomo?

Nel marzo 2020, migliaia di scienziati di tutto il mondo hanno unito le forze per rispondere a questa domanda attraverso uno di uno dei più ampi studi di associazione genome-wide mai eseguiti: gli scienziati fanno parte del progetto globale COVID-19 Host Genetics Initiative (COVID-19 HGI) che rappresenta attualmente una delle più estese collaborazioni nel campo della genetica umana, con oltre 3.300 autori e 61 studi di 25 paesi, che è guidato da Andrea Ganna e Mark Daly, del Institute of Molecular Medicine of Finland (FIMM), Università di Helsinki. Del consorzio fa parte anche il gruppo di studio Fondazione COVID-19 Genomic Study (FOGS) presso la Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano, coordinato da Luca Valenti, docente di Medicina Interna alla Statale e medico del centro trasfusionale del Policlinico.

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Un gruppo di ricercatori della Sapienza Università di Roma ha sviluppato una nuova nanoparticella ibrida in grado di veicolare in maniera efficace e selettiva gli agenti chemioterapici. I risultati dello studio, che potranno essere applicati per la cura di diversi tipi di tumore, sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Nanobiotechnlogy
I nuovi strumenti terapeutici nella lotta contro il cancro, che sfruttano le possibilità derivanti dalle nanotecnologie, sono basati sul rilascio mirato all’interno delle cellule tumorali di piccoli frammenti di RNA, i cosiddetti microRNA. Nonostante però queste molecole possiedano un elevato potenziale per il trattamento del cancro, per garantirne l’efficacia è necessario indirizzarli selettivamente alle cellule neoplastiche.

In uno studio tutto italiano, i ricercatori dei dipartimenti di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli, di Scienze anatomiche istologiche medico legali e dell'apparato locomotore e di Chimica e tecnologia del farmaco della Sapienza hanno creato in laboratorio un nuovo sistema per il rilascio mirato di farmaci chemioterapici che utilizza specifiche molecole, i dendrimeri aminici, che agiscono come una sorta di spugna per i piccoli RNA.

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Venerdì, 09 Luglio 2021 06:54

Una nano-sonda per fare luce sul corpo umano

 

Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e Istituto italiano di tecnologia (Iit) hanno messo a punto una nuova tecnica non invasiva, che tramite la dispersione della luce fornisce accesso in situ a proprietà fondamentali dei tessuti, restituendo informazioni dall’interno del corpo umano. I risultati, pubblicati su Nature Communications, aprono importanti prospettive per nuovi sistemi di diagnosi precoce in vivo di alcune malattie neurodegenerative e tumori

E' stata testata una nuova tecnica non invasiva basata sulla luce, che utilizza in modo innovativo le nanosonde a tecnologia a DNA e ricava informazioni all’interno di un sistema complesso come gli organi e i tessuti del corpo umano senza bisogno di interventi chirurgici o procedure più delicate per il paziente.

La tecnica getta le basi per importanti sviluppi in ambito diagnostico, poichèsi può applicare in tutti i casi in cui il target da raggiungere  a profondità tale per cui altri sistemi già esistenti, come i raggi X o la risonanza magnetica, non sono efficaci a causa della bassa risoluzione spaziale.

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La ricerca dell’Ateneo sul litorale da Viareggio a Calambrone nel Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli

C’è una barriera verde che protegge le coste. Piante come lo sparto pungente o la gramigna delle spiagge sono fra i migliori difensori contro l’invasione di plastica. La loro conformazione e le radici molto ramificate agiscono infatti come vere e proprie “trappole” per limitare la dispersione dei rifiuti. La conferma del ruolo fondamentale svolto dalla vegetazione dei sistemi dunali arriva da uno studio pubblicato su Marine Pollution Bulletin e condotto da un team dell’Università di Pisa sul litorale da Viareggio a Calambrone nel Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli.

Alessio Mo, Marco D’Antraccoli, Gianni Bedini e Daniela Ciccarelli sono partiti da un censimento dei rifiuti marini. Tre le spiagge che hanno preso in esame: Calambrone, Lecciona e Bufalina, la prima a sud della foce del fiume Arno e le ultime due a nord, siti in cui si depositano maggiormente i detriti a causa delle correnti.La maggior parte del materiale che hanno rilevato (85%) era costituita da plastiche di natura polimerica, quindi carta e cartone (3,6%) e legno lavorato (3,1%). In particolare, per quanto riguarda la plastica si trattava soprattutto di frammenti di piccole e medie dimensioni, resti di spugne domestiche, pacchetti di patatine, involucri di dolci e mozziconi e filtri di sigaretta, ma anche vasi in plastica e sacchetti per mangimi o fertilizzanti associati alle attività agricole.

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Pubblicato su Physical Review Letters lo studio di un team di fisici guidati dall’Università Statale di Milano, in collaborazione con il US Army Research Laboratory e la Shanghai Jiao Tong University, ha importanti ricadute tecnologiche per l’ingegneria meccanica e dei materiali.
Combinando moderne tecniche di simulazioni molecolari al calcolatore con metodi della fisica matematica come la geometria differenziale e i suoi aspetti topologici, un team internazionale di ricercatori, guidati dal fisico Alessio Zaccone, dell’Università Statale di Milano, è riuscito a “mettere a fuoco” i difetti topologici che condizionano la tenuta di alcuni materiali, per esempio i vetri. Lo studio, pubblicato sulla rivista Physical Review Letters, ha importanti ricadute tecnologiche per l’ingegneria meccanica e dei materiali, oltreché per applicazioni in biofisica.

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Più del 60 per cento degli 11 miliardi di bottiglie immesse al consumo in Italia ogni anno non vengono riciclate. È quanto emerge dal rapporto di Greenpeace “L’insostenibile peso delle bottiglie di plastica”, da cui si deduce che circa 7 miliardi di contenitori in PET (Polietilene Tereftalato, il tipo di plastica utilizzato per produrli) da 1,5 litri, usati per confezionare le acque minerali e le bevande, rischiano di essere dispersi nell’ambiente e nei mari, contribuendo in modo massiccio all’inquinamento del pianeta. A ciò si aggiungono le emissioni di gas serra generate dalla produzione delle bottiglie non riciclate, pari a 850 mila tonnellate di CO2 equivalenti, che aggravano la crisi climatica.

“L’Italia è uno dei maggiori consumatori globali di bottiglie di plastica per le acque minerali e le bevande. Ma nonostante i numeri impietosi del riciclo, le grandi aziende continuano a immetterne sempre di più sul mercato, facendo enormi profitti e non assumendosi alcuna responsabilità sul corretto riciclo e sul recupero a fine vita”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Se vogliamo ridurre l’inquinamento da plastica nei nostri mari, le grandi aziende devono fare la loro parte e promuovere soluzioni a basso impatto ambientale come l’impiego di contenitori lavabili e riutilizzabili”.

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Lo studio degli etologi dell’Università di Pisa sulla mimica spontanea nell’uso degli smartphone sul Journal of Ethology

Gruppi di persone dove nessuno interagisce con gli altri ma tutti guardano il proprio cellulare. Quante volte abbiamo visto questa scena o ne siamo stati protagonisti, parrebbe un controsenso e invece no. Perché guardare lo smartphone è un gesto altamente contagioso che rientra nei “fenomeni di mimica spontanea”: l’imitazione del comportamento altrui si manifesta entro 30 secondi al di là delle differenze di genere, età o livello di familiarità delle persone (estranei, conoscenti o parenti). È questo quanto emerge da uno studio pubblicato sul Journal of Ethology e condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa, il primo che abbia mai applicato un approccio etologico all’uso dei telefonini.

“La mimica spontanea, come il contagio dalla risata o dello sbadiglio, è un fenomeno biologico che accresce la familiarità tra i soggetti avendo un ruolo nello sviluppo delle relazioni sociali – spiega la Veronica Maglieri dottoranda dell’Università di Pisa – Ma in questo caso, la mimica sembra produrre un risultato opposto, poiché attivando la nostra necessità di usare il cellulare anche quando siamo in compagnia, ci allontaniamo dalla realtà che stiamo vivendo, e veniamo traghettati verso una realtà completamente virtuale anche se siamo circondati da persone fisiche”.

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