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L'arcano popolo dei Sesi di Pantelleria

Dott. Alessandro Bonfanti 24 Mag 2019

 

Sembra alquanto strano che non vi sia stato archeologo sino ad oggi che abbia mai confrontato i sesi di Pantelleria con le strutture pre-nuragiche a gradoni e proto-nuragiche della media età del Bronzo. Il ben noto sese di Contrada Mursia a Pantelleria con la sua struttura realizzata in pietra a secco evoca tanto nell'impianto progettuale tanto nella tecnica di realizzazione sia gli altari a gradoni (anch'essi realizzati con pietrame a secco) della Sardegna, come quello di Monte d'Accoddi nel territorio di Sassari (non più utilizzato a partire dell'inizio del II millennio a.C., quando apparve nell'isola la Cultura del vaso campaniforme) sia i proto-nuraghi, come ad esempio quello di Albucciu nel territorio di Arzachena, risalente alla fase finale della Cultura del vaso campaniforme, tra il 1900 ed il 1600 a.C., e coincidente con la facies di Bonnanaro (considerata tra l'altro l'evoluzione finale della suddetta Cultura del bicchiere campaniforme in Sardegna).

I sesi di Pantelleria, indagati e studiati già da Paolo Orsi negli anni '90 del 1800, e poi dal prematuramente scomparso Sebastiano Tusa cento anni dopo, si presentano infatti come strutture con un impianto ''ibrido'', tra gli altari a gradoni del III millennio a.C. e le strutture proto-nuragiche della prima metà del II millennio a.C. I sesi hanno una base ellittica, avente dunque due diametri, il maggiore fino a 20 m. (o poco più) e quello minore fino a 10 m. (o poco più); un alzato in pietrame a secco formante terrazze tronco-coniche, ovviamente restringendo via via il loro diametro procedendo nel senso dell'altezza, che oltrepassa i 5 m. Il sese di Contrada Mursia, il più grande che si conosca, presenta un'altezza di 5,58 m., con i suoi tre livelli, anche se è probabile che queste strutture potessero svilupparsi su più livelli formando una struttura a piramide di coni tronchi degradanti, raggiungendo dunque altezze maggiori. Si presentano proprio come gli altari a gradoni, ma con le basi ellittiche invece di essere quadrangolari, come fossero tanti nuraghi tozzi in successione e di grandezza decrescente nella loro successione dal basso verso l'alto. Nell'anello basale, ossia il piano della struttura a contatto con il terreno, vi sono diverse entrate, ovvero porte realizzate in blocchi di pietra sormontati da architravi, proprio come nelle strutture proto-nuragiche, le quali, ciascuna attraverso un corridoio, che sviluppa una linea di percorrenza fino a 7 m., conduce ad una camera funeraria di forma circolare che presenta una cupola ogivale (a sesto acuto, come nelle cattedrali gotiche).

Anche i suddetti corridoi terminano con un sistema statico a volta ogivale, proprio come nei corridoi delle tombe a tumulo, delle tombe dolmeniche ed anche dei nuraghi tholoidi più recenti. Queste tombe di Pantelleria risalgono infatti al II millennio a.C. e dunque coincidono con l'epoca proto-nuragica sarda. Giovanni Lilliu (in La civiltà nuragica) sostiene che i costruttori dei proto-nuraghi siano provenienti con molta probabilità dalla penisola iberica (precisamente dalla Catalogna o dal Midi), i quali si sarebbero integrati nella precedente Cultura neolitica di Ozieri, importando costumi tipici di una comunità guerriera e agropastorale, lasciando ovviamente intendere che trattasi del popolo della Cultura del bicchiere campaniforme. Effettivamente sono molti gli studiosi, come ad esempio Manlio Brigaglia e Attilio Mastino (in Storia della Sardegna), a sostenere che le strutture pre-nuragiche presentino delle affinità con le tombe-tumulo della Francia, o il complesso di Los Millares in Andalusia, o ancora con i Talaiots delle Baleari. Ma il problema di questa interpretazione, che naufraga a prima lettura, risiede nel semplice fatto che il complesso di Los Millares è un vero e proprio vicus trincerato tipico della Cultura del bicchiere campaniforme e non una singola struttura destinata al culto, né si presenta come struttura adibita alle sepolture. Inoltre queste altre strutture presentano sempre una forma circolare o ellittica e non quadrangolare. La Cultura di Bonnanaro (1900-1600 a.C.) presenta elementi simili, come i vasi provvisti di anse a gomito, proprio come quelli della coeva Cultura di Polada dell'Italia settentrionale, dimostrando con ciò che la Sardegna e l'Italia settentrionale furono davvero raggiunte dal popolo della Cultura del bicchiere campaniforme di ceppo proto-celtico. Questo popolo infatti fu l'avanguardia proto-celtica verso l'Italia, isole comprese, ovvero Sardegna e Sicilia. Ma proprio quando ebbe inizio la facies di Bonnanaro in Sardegna, nella Nurra e nel Sulcis-Iglesiente, propagandosi poi in tutta l'isola, gli altari pre-nuragici furono abbandonati. La facies proto-nuragica ebbe inizio e coincise con la Cultura di Bonnanaro, e quest'ultima finì quando comparirono i primi nuraghi tholoidi, ovvero i veri e propri nuraghi che si ergono a forma di alte e strette torri, essendo questi ultimi un'evoluzione o miglioramento progettuale/strutturale dei primi. Questi proto-nuraghi sono comunque lo stadio iniziale dei secondi, presentandosi con una planimetria piuttosto irregolare, ma tondeggiante, ed un alzato tozzo, alti mediamente 10 m., e privi dunque della camera circolare che caratterizza i nuraghi veri e propri alti anche oltre 20 m.

La Cultura del bicchiere campanifome in Sardegna coincise con l'introduzione del bronzo e le miniere della Sardegna iniziarono ad essere sfruttate, dando vita ad un fiorente commercio con altri popoli affacciantisi sul Mar Mediterraneo ed in costante ricerca di metalli da fondere o utensili di metallo. Vi è da dire però che le strutture proto-nuragiche non hanno precedenti nelle varie regioni in cui si stabilì il popolo della Cultura del bicchiere campaniforme, come invece li ha la Cultura di Bonnanaro (confrontata con quella coeva dell'Italia settentrionale). Trattasi allora dello stesso popolo di stirpe indoeuropea (alcuni studiosi pensano che questo popolo sia appartenente al ceppo ibero) della facies pre-nuragica e giunto nell'isola sarda nel Neolitico. Tuttavia è molto probabile (anzi ne confesso la mia totale convinzione) che le strutture di Pantelleria e quelle sarde pre-nuragiche e proto-nuragiche siano opere realizzate dallo stesso popolo, in parte migrato a Pantelleria, durante la media età del Bronzo, forse a seguito dell'espansione territoriale del popolo proto-celtico della Cultura del bicchiere campaniforme. Io penso che trattasi di un antichissimo popolo di stirpe indoeuropea e non di Iberi, anche se qualche gruppo ibero sarebbe giunto nelle due isole, Sardegna e Sicilia, così come la tradizione storica antica di tanto in tanto ricorda. Dal punto di vista strettamente archeologico, parlando dunque di cultura materiale, quella dei sesi di Pantelleria è coeva della necropoli di Castelluccio nel territorio di Noto (2200-1450 a.C.), quindi databile intorno alla media età del Bronzo tra il 1800 ed il 1400 a.C. circa, o forse anche fino all'età del Bronzo finale. Essa presenta come corredo oggetti d'ossidiana, terracotta da mensa, oggetti ornamentali e resti di ovini e caprini.

Sorprende allora come mai non siano state trovate le tipiche statuette in bronzo sarde d'epoca nuragica ritraenti capi-clan, sacerdoti, guerrieri con l'elmo provvisto di corna taurine e lottatori che indossano i grossi guanti in cuoio. A ciò si può rispondere con estrema semplicità, poiché queste statuette bronzee risalgono ad un epoca più tarda, al tempo dei Nuraghi tholoidi (ovvero quelli a forma di torre), e non dunque alla fase pre-nuragica e proto-nuragica. Queste statuine risalgono al tempo in cui gli Shardana originari pre-nuragici e proto-nuragici assorbirono elementi allogeni (ma sempre di stirpe indoeuropea) come i Tyrsenoi e gli Elleni (Achei e Dori). L'evoluzione tholoide dei Nuraghi (periodo cosidetto ''maturo'') testimonia e conferma proprio questo.

I Tursenoi erano infatti i ''Costruttori di torri'' e gli Elleni (gli Achei in questo specifico caso) concepivano soluzioni architettoniche come la cupola ogivale formata da blocchi aggettanti a secco, soprattutto nella realizzazione delle loro tombe (evoluzione a sua volta della tipologia a tumulo di tradizione nordica). Non si dimentichi anche che gli Shardana erano abili navigatori e che furono proprio costoro a traghettare un piccolo nucleo di Siculi dalle coste del Lazio in Sardegna al tempo della cacciata dei Siculi da quelle terre da parte dei proto-Latini uniti ai Pelasgi. Quei Siculi furono ''sistemati'' nel versante Sud-orientale della Sardegna e presero il nome di Siculensi, denominazione che significa letteralmente ''Discendenti dei Siculi'', e che forse nel tempo hanno assorbito nel loro nucleo elementi Shardana, e successivamente ancora altri elementi Sardo-tirreno-ellenici. Gli Shardana frequentavano le coste occidentali della penisola italiana, dalla Toscana fino alla Campania, ed il traghettamento di questo modesto nucleo siculo è avvenuto nel corso del XIV sec. a.C., o meglio dire tra la fine del XV sec. e la prima metà del XIV sec. a.C. Non vi sono testimonianze a favore dell'idea che gli Shardana nuragici avessero contatti con i costruttori dei sesi di Pantelleria, poiché vi sarebbero stati copiosi indizi archeologici, come le suddette statuine bronzee e la tipica ceramica nuragica d'importazione, così come si sono trovati in Toscana e Lazio. A parte il popolo della Cultura del bicchiere campaniforme, nessuno degli altri summenzionati proveniva dalla penisola iberica o dalla Francia meridionale. Ma resta sempre il fatto che il popolo della Cultura del bicchiere campaniforme raggiunse la Sardegna intorno al 2000 a.C. dalla Corsica, a sua volta partito dalla Francia centro-meridionale, essendo comunque diffuso in quasi tutta la penisola iberica, ossia fino alle coste atlantiche della Galizia e del Portogallo, ove vi erano altre popolazioni indoeuropee.

Il popolo della Cultura del bicchiere campaniforme, essendo diffuso nella penisola iberica, può essere considerato ''iberico'', ma è da escludere totalmente che fosse di ceppo ibero: patria e nazionalità assumono a volte, come ben si vede, valori semantici molto differenti. Con molta probabilità, l'isola di Pantelleria divenne un rifugio sicuro per questo antichissimo popolo indoeuropeo della Cultura proto-nuragica, mai raggiunto dal popolo proto-celtico, il quale invece riuscì ad approdare in Sicilia, popolando il versante occidentale e diffondendo il noto bicchiere a campana, le tombe a cista litica e le strutture megalitiche come i noti dolmen. Il popolo della Cultura del bicchiere campaniforme sarebbe giunto in Sicilia seguendo le rotte di questi preistorici fuggitivi sardi. Desidererei, prima di lasciarVi alla prossima lettura, esprimere tutta la mia gratitudine al Prof. Sebastiano Tusa, il quale tragicamente ci ha lasciato nel Marzo scorso, un grande studioso, un uomo gentile e molto aperto. Fin quando io non ho avuto occasione di leggere i suoi articoli, non sapevo proprio un bel nulla sui sesi panteschi, sebbene io sia siciliano. Grazie ai suoi studi, ho potuto dunque approfondire anche questo argomento, un'altra piccola e fondamentale tessera che compone lo splendido mosaico della storia della nostra isola. Ti auguro buon viaggio, Prof. Sebastiano Tusa, che tu possa accogliere i miei omaggi con un sorriso. Ringrazio anche il Dott. Salvo Piccolo, che mi ha sempre sostenuto, ed infine in modo particolare la Dott.ssa Vanessa Giudice, mia consorte, che con la sua inesauribile dolcezza mi fornisce ogni supporto. Per chi fosse interessato ai miei studi, può contattarmi al seguente indirizzo email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

                                                                                                                                                  Il Dott. Alessandro Bonfanti

Ultima modifica il Venerdì, 24 Maggio 2019 08:50
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