Fu uno scatto rigido, improvviso, molto sgradevole, quello con cui si fermò l’autotrasporto clandestino alle otto e mezza di una grigia e stagnante sera d’estate. Era un veicolo enorme, decadente, traballante, vecchio come l’emarginazione e il pregiudizio. La brusca frenata faceva da degna coronazione a un viaggio interminabile e atroce per chi era costretto a percorrerlo. Gli autotrasporti clandestini seguivano sempre strade tortuose, pericolanti e desolate abbastanza da non correre il rischio di essere intercettati dalle squadre di polizia o da qualsivoglia genere di occhio indiscreto.