Uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature Geoscience da un team internazionale di ricercatori e coordinato da Folco Giomi, ricercatore indipendente, e Marco Fusi, Joint Nature Conservation Committee (UK) e di cui fa parte anche Alberto Barausse, docente del dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, mostra infatti che, per capire l’effetto del cambiamento climatico sui mari, è fondamentale considerare anche le forti fluttuazioni di ossigeno disciolto fra giorno e notte negli habitat marini altamente produttivi, dove l’acqua passa regolarmente da condizioni di sovrabbondanza di ossigeno a condizioni di scarsità. Tali fluttuazioni avvengono anche nello spazio su piccole distanze (cioè su scale microclimatiche); in prossimità di organismi fotosintetizzatori molto attivi come piante acquatiche, macroalghe o biofilm algali, ad esempio, vi possono essere differenze enormi di ossigeno disciolto anche spostandosi di pochi centimetri. Queste forti fluttuazioni di ossigeno sono importanti per gli ecosistemi perché alterano nettamente la tolleranza degli organismi marini allo stress termico e all’ipossia (cioè a bassi livelli di ossigeno) e hanno un impatto significativo sui cicli biogeochimici di carbonio, azoto e fosforo.
La ricerca sottolinea la frequente presenza durante il giorno in questi habitat produttivi dell’iperossia, cioè di condizioni in cui l’ossigeno disciolto in acqua raggiunge livelli anche molto al
di sopra del livello di saturazione in equilibrio con l’aria. «Rispetto all’ipossia, l’iperossia è stata trascurata nella letteratura scientifica ma ora stiamo scoprendo che il suo impatto sulle comunità marine e sui cicli biogeochimici è rilevante. L’iperossia, ad esempio, è associata a una maggiore resistenza al calore in molti organismi marini e può influenzarne positivamente le prestazioni metaboliche» afferma Giomi. «Il messaggio dell’articolo è positivo. Proteggere ambienti costieri come barene, praterie di fanerogame acquatiche e barriere coralline vuol dire aumentare la resilienza degli ecosistemi marini contro gli effetti negativi del cambiamento climatico come le ondate di calore» conclude Alberto Barausse.