Nei territori tutelati da aree protette, gli ecosistemi contengono in genere più di un terzo delle specie potenzialmente idonee, mentre quelle assenti lo sono soprattutto per cause naturali, come i limiti biologici della loro capacità di dispersione. Dove l’impronta umana è maggiore, la quantità di biodiversità assente è invece elevatissima, con ecosistemi che arrivano a contenere anche solo una specie idonea su cinque.
Le misurazioni tradizionali della biodiversità impiegate fino ad oggi, come il semplice conteggio del numero di specie registrate, non offrivano un quadro completo: l’identificazione della diversità oscura ha permesso di colmare il gap conoscitivo. La relazione fra l’Indice di Impronta Umana - che rileva fattori quali densità della popolazione, urbanizzazione, agricoltura e infrastrutture – e la diversità oscura ha dimostrato inoltre che l’impatto antropico si estende ben oltre le aree direttamente modificate, fino a centinaia di chilometri di distanza, interessando anche le riserve naturali.
“Lo studio conferma, purtroppo, che le nostre attività influenzano negativamente la biodiversità. È quindi necessario supportare al massimo le politiche volte a tutelarla, a livello locale e globale”, dichiara il professor Alessandro Chiarucci, del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna. “In particolare, è fondamentale continuare la strada intrapresa, aumentando il numero e la superficie delle aree rigorosamente protette, ossia di aree in cui i processi naturali sono liberi di manifestarsi, a tutela della biodiversità presente e futura. Ho lavorato su questo progetto nell’ambito dell’attività del National Biodiversity Future Center, che coordino assieme al professor Rondinini di Roma e che sta cercando di costruire gli scenari nazionali per il futuro delle aree protette (Spoke 4 – Activity 4 “Scenarios of area-based conservation planning and management”)”, conclude il professor Chiarucci.
L'influenza negativa dell'attività umana sulla biodiversità, rivela lo studio, è meno pronunciata quando almeno un terzo della regione circostante l’area investigata è incontaminato o ben
protetto, a sostegno dell'obiettivo globale di proteggere il 30% del territorio. Il progetto ha sottolineato quindi l'importanza cruciale di promuovere la salute degli ecosistemi entro ma anche al di fuori delle aree protette. Il concetto di diversità oscura fornisce uno strumento pratico per identificare le specie idonee assenti e favorire il ripristino degli ecosistemi. DarkDivNet, coordinato dall’Università di Tartu in Estonia, ha visto collaborare, oltre all’Università di Bologna, le università italiane di Parma, dell’Aquila, dell’Insubria, di Catania, di Palermo, di Cagliari, della Basilicata e l’Università Ca’ Foscari Venezia.