Evoluzione dell’evoluzionismo. Gli anni del “dopo Darwin”. Parte terza: l’Italia.

Abbiamo lasciato per un momento i cinque giovani ricercatori ritratti ad Helgoland nella foto della “parte prima” (tra cui E. Haeckel ed A.Dohrn) per dedicarci alla particolare “evoluzione” delle teorie darwiniste nella Germania del ‘900 (“parte seconda”) e tornare, nel presente capitolo, alle storie che coinvolsero alcune importanti figure di scienziati dell’Italia unita.
Il periodo dopo il 1870 fu segnato dalla volontà di riorganizzazione legislativa e sviluppo industriale in un Paese che aveva necessità di adeguarsi rapidamente agli standard delle grandi potenze dell’Europa centrale: impresa non da poco, in considerazione delle profonde diversità che dividevano la penisola a causa delle recenti dominazioni straniere.

 

Il territorio Lombardo-Veneto aveva ad esempio già usufruito, nel ‘700, delle riforme agrarie imposte dall’imperatrice d’Austria Maria Teresa, mentre il Regno delle Due Sicilie, a metà del secolo successivo, risultava ancora sprovvisto di supporti topografici. Fu necessario commissionare studi specialistici sulla conformazione geologica del territorio così da procedere alla costruzione di quella che divenne, per un periodo, la migliore rete ferroviaria d’Europa, oppure per impiantare industrie e definire i luoghi migliori per l’estrazione di materie prime: a questi anni risale la nascita, ad esempio, della Carta Geologica d’Italia, progettata da Felice Giordano e Quintino Sella già dal 1861 e rinviata di alcuni anni per enormi problemi di disavanzo pubblico dopo la Terza Guerra d’Indipendenza.

 

 

Fig. 1 - “Re Umberto I inaugura il Museo Agrario Geologico di Largo S. Susanna a Roma” (1885) tratto da: “L’Illustrazione Italiana”, A. XII, 1, MI 1885
 

 

Erano numerosi, all’epoca, gli scienziati che decisero di sposare la causa dello sviluppo nazionale divenendo “manager” dei loro stessi progetti (vedremo più avanti il “caso Dohrn” a Napoli) e accettando cariche politiche nei diversi dicasteri. L’esperienza italiana ben rappresenta l’applicazione del pensiero positivista, secondo cui la scienza avrebbe dovuto svolgere un ruolo fondamentale nella ricerca e nella cultura generale della popolazione, pur nelle peculiarità derivanti dalla forte componente cattolica del Paese, che certo non vedeva di buon occhio le teorie di Darwin o le correnti sotterranee panteiste che circolavano nei “cenacoli bene”  europei.
Ad esempio il monismo professato da Haeckel aveva incontrato in Italia accoglienza entusiastica da parte dello psichiatra Enrico Morselli (1852 –1929), uomo fortemente attratto anche dall’esoterismo, cui si deve il merito di aver riformato (con tutti i limiti delle conoscenze dell’epoca) il manicomio di Macerata. Autore del trattato Antropologia generale. L’uomo secondo la teoria dell’evoluzione (1911), egli insegnò psicologia sperimentale a Torino e Genova, dedicando particolare attenzione al tragico e diffuso fenomeno del suicidio nella società moderna.
Nell’Italia di fine ‘800, tuttavia, i fermenti positivisti e post darwinisti si innestarono su una realtà scientifica accademica ma fortemente votata alla ricerca, ai viaggi, alla collezione di reperti ed alla loro organizzazione in un “sapere” diffuso, divulgato o reso pubblico grazie alla creazione di prestigiose istituzioni museali: si vedano personaggi come Giuseppe Sergi (v. Giorgio Manzi, Un antropologo positivista e il suo museo, in “Scienzaonline”, Anno 4, dicembre 2007)  fondatore del Museo di Antropologia (attualmente presso l’Università “La Sapienza” di Roma) o il suo collega Luigi Pigorini (senatore dal 1912) che fondò nel 1875 il “Bullettino di Paletnologia Italiana” e nel 1876 il Museo Preistorico Etnografico di Roma. Ancora, solo per citare alcuni esempi di studiosi che trasformarono la logica delle wunderkammer in musei scientifici, si vedano Pietro Calcara e Giorgio Gemmellaro, quest’ultimo fondatore a Palermo del Museo Geo-Paleontologico.
Ma ci fu chi preferì battersi con la burocrazia e i pregiudizi per creare qualcosa di maggiormente vivo, dinamico, interdisciplinare: è il caso del biologo Anton Dohrn (1840 -1909) l’altro ragazzo della foto, allievo di Ernst Haeckel a Jena e “padre” della Stazione Zoologica di Napoli che da lui prende il nome e che ad oggi conta decine di migliaia di reperti marini ed una zona speciale per la tutela delle tartarughe d’acqua (la “Careta Careta”).
La storia di Dohrn è un piccolo romanzo: appartenente alla buona borghesia prussiana, egli decise di stabilirsi a Messina nel 1868 (dopo alcuni viaggi di studio effettuati per delle ricerche marine) e successivamente a Napoli, dove tra il 1872 e il 1874 riuscì ad aprire tra non poche difficoltà la sua “stazione marina”, divenuta luogo di studio e di incontro internazionale per gli scienziati. Gli scontri con un padre autoritario che mai vide di buon occhio le stravaganze scientifiche del figlio, le polemiche con il “filosofeggiante” (sic!) Haeckel sul monismo e sulla pericolosa deviazione dal darwinismo iniziale, gli scambi di vedute con Paolo Panceri, zoologo e sostenitore della futura “stazione”, furono presto superate dalle difficoltà pratiche nell’imporre una visione strutturalmente nuova per lo scambio di informazioni scientifiche e di farlo soprattutto in una città caotica, ma aperta ai cambiamenti, quale risultava essere Napoli. Le vicissitudini di questo esuberante scienziato tedesco, che fu costretto a privilegiare, rispetto alla ricerca pura, l’aspetto “imprenditoriale” di un progetto ambizioso aperto anche alla popolazione (l’acquario a pagamento per i turisti fu un’idea geniale) sono raccontate da Piero Antonio Toma (L’avventura nella Stazione di Napoli Anton Dohrn, NA, 1996) con precisione storica e una buona dose di humor. Scrittori, politici, artisti e soprattutto studiosi si avvicendarono nella Villa Comunale negatagli in un primo momento, luogo in cui i “tavoli di studio” ed un vaporetto acquistato con fondi tedeschi (tra i sostenitori figurò quel Du Bois-Reymond che si era scagliato contro Haeckel nella polemica sui sette enigmi dell’universo) costituirono non solo un istituto moderno dedicato alla ricerca ma un momento di incontro pacifico tra nazioni talvolta in guerra fra loro. Almeno a fine ‘800.
La Stazione (che qualcuno definì “edificio con una pescheria a piano terra e un’università al piano superiore”) ovvero il centro di biologia marina, era pensato strategicamente come una stazione ferroviaria, un posto dove i ricercatori “affittavano” i laboratori (i 4 tavoli di studio iniziali erano divenuti 24 in pochi anni) per collezionare e confrontare i reperti tratti dalle acque del Mediterraneo, condurre esperimenti di biologia marina in un luogo confortevole e persino piacevole, “assistiti” amichevolmente dai busti scolpiti da Hildebrand, raffiguranti Darwin e il fondatore dell’embriologia Ernst von Baer. Per poi ripartire e proseguire le loro ricerche nell’altro grande acquario di idee del confronto scientifico: tra i frequentatori della Stazione si contano ben 18 “premi Nobel” tra il 1901 e il 1973.

 

 

 

Fig. 2 - “Alcuni ricercatori nei laboratori della Stazione zoologica di Napoli. Foto di Wilhelm Giesbrecht (1889)”

 

L’innovazione di Dohrn era considerata profana (da qui anche le critiche provenienti da Haeckel) in quanto univa l’elemento scientifico alla fruizione turistica, i laboratori di ricerca alle curiosità dell’acquario: uno dei primi nel mondo (dopo quelli di Amburgo,1866; Berlino,1869; Londra, 1871) i cui introiti permisero ai laboratori di mantenere un discreto margine di autonomia economica. La storia di Anton Dohrn rappresenta forse il punto di arrivo di questa “evoluzione dell’evoluzionismo” sui generis, che si arresta ai massacri della Prima Guerra Mondiale ed alla perdita di fiducia nel progresso di stampo spenceriano. Dohrn, darwinista convinto, un po’ scienziato e un po’ artista, ben raffigura la cooperazione scientifica e l’eredità dinamica della libera circolazione delle idee lasciataci da alcuni uomini del Novecento.

 

Luisa Sisti

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Settembre 2009 10:26
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