Il parco statale Ricardo Franco, istituito nel 1997, copre un’area di 158 mila ettari (una superficie superiore all’estensione della città di Roma) e si trova al confine tra il Brasile (stato del Mato Grosso) e la Bolivia, dove si incontrano l’Amazzonia, il Cerrado, la savana più ricca di biodiversità del Pianeta e il Pantanal, la più grande zona umida del mondo. Si tratta quindi di un’area che ospita una biodiversità eccezionale che include 472 specie di uccelli e numerosi mammiferi in via di estinzione, come il formichiere gigante.
Nonostante la sua importanza, il parco non è mai stato adeguatamente protetto e nel corso degli anni il 71 per cento della sua estensione è stato occupato da 137 aziende agricole, che hanno creato pascoli a scapito della foresta. Secondo le indagini di Greenpeace, tra aprile 2018 e giugno 2019, l’azienda Paredão ha venduto quattromila capi all’azienda Barra Mansa, che si trova fuori dai confini del Parco. Barra Mansa rifornisce le principali aziende di lavorazione della carne del Brasile: JBS, Minerva e Marfrig, che a loro volta esportano in tutto il mondo, Italia inclusa.
Nel nostro paese, tra aprile 2018 e giugno 2019, sono arrivate così oltre duemila tonnellate di carne, destinate a grossisti che riforniscono la ristorazione e la grande distribuzione.
I consumi nell’Unione europea sono legati al 10 per cento della deforestazione globale, che avviene prevalentemente al di fuori dei confini comunitari. Per garantire che i cittadini europei non siano complici inconsapevoli della distruzione di foreste fondamentali per il Pianeta, come l’Amazzonia, Greenpeace chiede alla Commissione europea di presentare rapidamente una normativa che garantisca che carne e altri prodotti, come la soia, l’olio di palma e il cacao, venduti sul mercato europeo, soddisfino rigorosi criteri di sostenibilità e non siano legati alla distruzione o al degrado degli ecosistemi naturali e alle violazioni dei diritti umani.
Secondo l’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE), nel 2019 la deforestazione in Amazzonia è aumentata del 30 per cento rispetto all’anno precedente, colpendo il 55 per cento delle unità di conservazione (aree protette come il parco Ricardo Franco) e il 62 per cento delle terre indigene. Quest’anno la situazione sembra destinata a peggiorare: tra gennaio e aprile gli allarmi deforestazione sono aumentati del 62 per cento e all’interno delle unità di conservazione questo aumento ha già raggiunto il 167 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
“Se vogliamo combattere la crisi climatica in corso, proteggere la biodiversità, rispettare i diritti umani ed evitare l’emergere di nuove pandemie, dobbiamo fermare la deforestazione, iniziando a produrre e consumare meno carne. Il primo passo per multinazionali e governi dev’essere l’impegno a interrompere le relazioni commerciali con chi distrugge biomi essenziali per le persone e il Pianeta” conclude Borghi.