Le osservazioni condotte attraverso gli” occhi” elettronici VLT avevano l’obiettivo di determinare il ruolo giocato dalla materia oscura nel moto delle galassie. In particolare, lo studio - apparso su Nature con il titolo "Strongly baryon dominated disk galaxies at the peak of galaxy formation ten billion years ago” - intendeva fornire prove a sostegno della tesi per cui la presenza della dark matter spingerebbe le parti più esterne di galassie a spirale vicine alla Via Lattea a ruotare più velocemente di quanto farebbero se fossero formate dalla sola materia normale. In pratica, nelle galassie vicine c’è materia oscura e la sua presenza “si vede” dal ritmo che impone.
La ricerca rivela però che, se l’accelerazione nel moto imputabile all’elusiva componente è verosimile (ed accettata) nei sistemi più prossimi, le cose vanno diversamente nell’Universo remoto. Nelle galassie a spirale più antiche (e distanti), le regioni più esterne delle sembrano muoversi più lentamente di quanto facciano le zone più vicine al nucleo galattico. Il che fa supporre che se la velocità di rotazione è legata alla quantità di materia oscura, nelle galassie più vecchie e lontane – e più lente ai rispettivi confini - la materia oscura scarseggi. Se confermati da ulteriori dati, gli studi avvalorerebbero la ricostruzione storica fatta dagli astronomi: 3 o 4 miliardi di anni dopo il Big Bang in gas (quindi la materia normale) si condensava formando dischi piatti di rotazione mentre la materia oscura si “spalmava” tutta intorno, impiegando milioni di anni in più per trovare una sua collocazione. Per questo motivo, la misteriosa componente avrebbe un “peso” maggiore nelle galassie più recenti.