Geologia

Geologia (77)



Combinando vulcanologia e geochimica, uno studio di un team internazionale - coordinato dall’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Consiglio nazionale delle ricerche e dall’Università degli Studi Roma Tre e pubblicato su Nature Communications Earth & Environment - mette in luce le differenze composizionali di magmi basaltici che stanno alla base del diverso comportamento eruttivo di Etna e Stromboli e individua i fattori che potrebbero essere causa di eruzioni vulcaniche esplosive Uno studio, coordinato dall’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igag) e dall’Università degli Studi Roma Tre e pubblicato su Nature Communications Earth & Environment, descrive come la formazione di nanocristalli (anche detti nanoliti, fino a 10.000 volte più piccoli di un capello umano) in magmi basaltici, possa essere indotta da minime differenze composizionali, in particolare, un più alto contenuto in metalli come titanio e ferro.

 

Una ricerca pubblicata sulla rivista Global Change Biology coordinata da Institut de Ciències del Mar (ICM-CSIC) di Barcellona, cui ha partecipato il Cnr-Irbim in collaborazione con altri 30 gruppi di ricerca provenienti da 11 paesi, è in grado di ricostruire per la prima volta gli effetti delle mortalità di massa su scala mediterranea di 50 diverse specie marine

Tra il 2015 e il 2019 una serie di ondate di calore ha colpito tutte le regioni del bacino mediterraneo, provocando eventi di mortalità di massa in 50 diverse specie marine come coralli, spugne, macroalghe e anche pesci. Secondo una ricerca internazionale pubblicata sulla rivista Global Change Biology cui ha partecipato l’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irbim), questi fenomeni hanno interessato migliaia di chilometri di coste mediterranee, dal Mare di Alboran sino alle coste orientali, tra la superficie e i 45 metri di profondità.

 

Prelevata la prima carota di ghiaccio dal corpo glaciale più meridionale d’Europa, che ogni anno perde circa un metro di spessore. In azione anche la ‘gru volante’, il super elicottero Erickson S-64 del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. La missione organizzata da Cnr-Isp, Università Ca' Foscari, in collaborazione con Ingv e Università di Padova

È terminata la campagna di perforazione del Calderone sul Gran Sasso, ultimo esempio del glacialismo della catena appenninica. Gli scienziati hanno per la prima volta a disposizione un campione di ghiaccio profondo dal glacio-nevato, la cui analisi chimica permetterà di ricostruire il passato climatico e ambientale del massiccio e delle regioni circostanti. La missione, nell’ambito del progetto internazionale Ice Memory, è stata organizzata dall'Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) e dall'Università Ca' Foscari Venezia, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), l’Università degli Studi di Padova e le società Georicerche srl e Engeoneering srls.

Lo straordinario potenziale di informazioni contenute negli ammassi globulari ci fornisce l’immagine dell’Universo neonato.
Oltre tredici miliardi di anni fa, cioè al tempo della grande esplosione (Big Bang) in cui si sarebbe generato l'Universo, le immense nubi di gas che permeavano l’Universo primordiale fecero accendere le prime stelle dando origine a primitivi agglomerati stellari. In quell’epoca nacquero concentrazioni sferiche composte da centinaia di migliaia di stelle, dette ammassi globulari (globular clusters), che sono sopravvissute fino ai giorni nostri.


Sebbene l’origine dei globular clusters sia ancora ignota, è ormai assodato che le stelle appartenenti agli ammassi globulari siano nate appena poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang. Comprendere la composizione chimica delle nubi primordiali è certamente uno degli obiettivi più ambiziosi e complessi dell’astrofisica moderna. La difficoltà nasce principalmente dal fatto che gli ammassi globulari che osserviamo oggi hanno perduto una parte considerevole della materia gassosa che li aveva generati. Inoltre le poche tracce di gas primordiale tuttora sopravvissute al loro interno sono state contaminate dal materiale espulso da decine di migliaia di stelle durante la loro evoluzione perdendo irrimediabilmente la memoria della loro composizione iniziale.

 

Un deposito di sedimenti spesso fino a 25 metri presente nel Mar Ionio sembra essere il risultato di un forte tsunami avvenuto nel 365 d.C., originato a Creta e che ha coinvolto Calabria e Sicilia. Le caratteristiche di questo deposito hanno permesso di identificare altri due eventi più antichi avvenuti circa 15 e 40 mila anni fa. La ricerca coordinata dal Cnr-Ismar è stata pubblicata su Scientific Reports

 Uno studio condotto dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Ismar) ha ricostruito le tracce di uno tsunami che circa 1600 anni fa ha colpito le coste del Mediterraneo, incluse Sicilia e Calabria meridionale. La ricerca riguarda un’area abissale nel Mar Ionio, tra l’Italia, la Grecia e l’Africa, dove un deposito di sedimenti marini che raggiunge i 25 metri di spessore è stato deposto in modo quasi istantaneo dalla forza catastrofica delle correnti indotte dall’onda di uno tsunami. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports.



Ricognizione organizzata da Cnr e Università Ca’ Foscari con esperti di Ingv e Università di Padova in vista del carotaggio previsto per fine aprile. Dai dati emerge la ‘fotografia’ più nitida sullo stato del corpo glaciale più meridionale d’Europa.

Circa 25 metri di ghiaccio nascosto da una coltre di pietre all’ombra delle pareti del Gran Sasso. E’ quanto rimane del Calderone, il corpo glaciale più meridionale d’Europa e unico degli Appennini, secondo i dati forniti dal georadar che ne ha percorso la superficie nei giorni scorsi, nell’ambito di una campagna di rilevamento e di raccolta di campioni di ghiaccio in situ.
Se le carote di ghiaccio del Calderone si dimostreranno un archivio sufficientemente conservato, potranno ambire a essere custodite per decenni nel ‘santuario’ dei ghiacciai montani in sofferenza che sarà realizzato dal programma internazionale Ice Memory, iniziativa co-ideata e coordinata in Italia da Carlo Barbante, direttore dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) e professore all’Università Ca’ Foscari Venezia.


Utilizzando un magma sintetico simile a quello flegreo è stata calcolata la viscosità e la sua velocità di risalita dagli strati più profondi della Terra. I risultati del lavoro, a cui ha preso parte Vincenzo Stagno del Dipartimento di Scienze della Terra, sono stati pubblicati su Scientific Reports
La velocità con la quale un magma si forma e risale dalle profondità della Terra alla superficie dipende anche dalla sua viscosità ed è quindi di fondamentale importanza conoscere questa proprietà fisica dei magmi anche per definire scenari e stime di pericolosità e rischio vulcanico connesso.

Con uno studio sperimentale, un team internazionale di ricercatori guidato da Barbara Bonechi e Vincenzo Stagno del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università Sapienza di Roma, e condotto con Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), Ehime University in Giappone, Argonne National Laboratory in USA (ANL) e Università degli Studi di Trieste (UniTS), ha sviluppato delle stime della velocità di risalita del magma del sistema dei Campi Flegrei dalla sorgente mantellica, che gli autori per il loro esperimento posizionano a circa 60 km di profondità, verso un ipotizzato sistema di alimentazione crostale della caldera collocato a 25 km.

 

Dallo studio della composizione e delle età di cristallizzazione dei granati magmatici delle quattro principali eruzioni del Vesuvio emerge come il Vesuvio dovrebbe avere ancora circa mille anni di quiescenza, anche se non si possono escludere eruzioni più piccole. La ricerca, guidata dal Politecnico di Zurigo e a cui ha collaborato l’Università degli Studi di Milano, è stata pubblicata su Science Advances.
Il vulcano Vesuvio potrebbe rimanere in uno stato di quiescenza per altri mille anni, ma nel frattempo non possono essere esclusi episodi di eruzioni minori: questa la conclusione a cui è giunta una ricerca, coordinata dal Politecnico di Zurigo, che annovera tra i co-autori Francesca Forni, ricercatrice di Vulcanologia dell’Università degli Studi di Milano. I risultati sono stati recentemente pubblicati su Science Advances.


Lo studio coordinato dall’Università di Pisa e pubblicato sulla rivista New Phytologist ha analizzato oltre 8 milioni di dati relativi a 67.000 specie vegetali su scala globale


La distribuzione delle piante vascolari del nostro pianeta si divide in due grandi gruppi a partire dalla Laurasia e dal Gondwana, due antichi continenti risalenti a circa 250 milioni di anni fa. È questo quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista “New Phytologist” coordinato da Angelino Carta del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, in collaborazione con Lorenzo Peruzzi dello stesso Dipartimento e Santiago Ramírez-Barahona dell’Universidad Nacional Autónoma de México.

Per giungere a questa conclusione i ricercatori hanno analizzato oltre otto milioni di dati relativi alla distribuzione di 67.000 specie vegetali su scala globale. La divisione Laurasia-Gondwana, due antichi continenti che corrispondono oggi all’incirca alle terre del nostro emisfero settentrionale e meridionale, si rispecchia inoltre in alcune differenze fra i due grandi gruppi di piante. La flora settentrionale, costituita soprattutto da piante erbacee, è infatti a livello evolutivo più recente rispetto a quella meridionale costituita soprattutto piante legnose tropicali e in cui prevalgono linee evolutive più antiche.


In un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience un team di ricercatori della Sapienza, delle università di Palermo e Ferrara e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), ha sviluppato un nuovo approccio per ricostruire la quantità di carbonio immagazzinato nel mantello superiore della terra, dalla cui fusione sono segregati i magmi
Il carbonio, il quarto elemento più abbondante in termini di massa nell’universo, è un elemento chiave per la vita. Il suo ricircolo, da e verso l’interno della Terra, regola i livelli di CO2 nell’atmosfera, giocando quindi un ruolo fondamentale nel rendere il nostro pianeta abitabile. Il carbonio è un elemento unico, perché può essere immagazzinato nelle profondità della Terra in varie forme: all’interno di fluidi, come componente di fasi minerali, oppure disciolto nei magmi.

 

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