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Dicembre 2025


L’Università di Pisa nella ricerca pubblicata su Obesity realizzata insieme all’ istituto di ricerca National Institutes of Health negli Stati Uniti.


La reazione a una “grande abbuffata” ad alto contenuto di carboidrati non è la stessa per tutti. C’è chi riesce a smaltirla meglio di altri, e questo dipende in parte dal nostro profilo metabolico. Per capire se siamo tipi con un metabolismo più risparmiatore o dispendioso, che tendono cioè a bruciare più o meno carboidrati, c’è un’importante sentinella, l’ormone glp1. Un nuovo studio pubblicato su Obesity e condotto dall’Università di Pisa presso l’ente di ricerca NIH negli Stati Uniti ha indagato il ruolo di questo ormone, quantificando per la prima volta le variazioni di concentrazione nel sangue in risposta una dieta ipercalorica ad alto contenuto di carboidrati.

Pubblicato in Medicina


La prima installazione in Europa del simulatore di paziente più realistico al mondo è avvenuta all’Università degli Studi di Trieste.

Il Centro di simulazione medica e addestramento avanzato (CSMAA) dell’ateneo giuliano, allestito in una palazzina dedicata all’interno dell’Ospedale di Cattinara, ospita infatti HAL s5301, prodotto da Accurate – Gaumard Scientific, un simulatore umanoide adulto dotato di intelligenza artificiale, arti robotizzati e reazioni fisiologiche reali.

“Abbiamo utilizzato una consistente parte dei fondi acquisiti dal Dipartimento di Scienze mediche con il bando 2018 /2022 - Dipartimenti di eccellenza MUR, per l’acquisto del nuovo simulatore e per un aggiornamento della strumentazione del CSMAA. Siamo i primi in Europa ad avere HAL s5301– ha sottolineato il Rettore Roberto Di Lenarda – E’ una scelta coerente al potenziamento del Centro di simulazione, vera eccellenza del nostro polo formativo e pienamente sinergica alla prossima creazione, all’interno del comprensorio di Cattinara, del nuovo Campus che raccoglierà tutti i corsi pre e post laurea di area medica e sanitaria oltre ai laboratori di ricerca. Un progetto ambizioso e visionario supportato dalla Regione FVG che contribuirà ulteriormente a fare dell’Università di Trieste un centro di richiamo per gli studenti di tutta Italia e dall’estero”.

Pubblicato in Tecnologia

L’Istituto di scienze polari del Cnr ha analizzato i dati relativi all’inquinamento generato dalle microplastiche nelle acque dolci dei Poli e sull’altopiano del Tibet. I risultati, pubblicati su Science of the Total Environment, mettono in evidenza una crescente diffusione di questi polimeri, e la conseguente creazione di microecosistemi artificiali basati sulla plastica.

 

Una review elaborata dai ricercatori dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche di Messina (Cnr-Isp) e pubblicata sulla rivista Science of the Total Environment, ha preso in esame i dati relativi all’inquinamento causato da microplastiche nelle acque dolci dell'Artico, dell'Antartide e nell’altopiano in Tibet, un habitat denominato ‘Terzo Polo’ che racchiude il 15% dei ghiacci di tutto il Pianeta. Tale tipologia di inquinamento rappresenta, oggi, una minaccia a livello globale, anche in considerazione del grande aumento di produzione della plastica, che è passata da 1,5 milioni di tonnellate negli anni Cinquanta del secolo scorso, ai 359 milioni di tonnellate nel 2018. “Artide, Antartide, Altopiano del Tibet: abbiamo preso in considerazione tre ambienti molto distanti tra loro, ma accomunati dalla presenza di microplastiche nei laghi, nei fiumi, nei ghiacciai e nella neve, con ogni probabilità trasportate in queste zone dagli uccelli e dal vento, o accumulate in conseguenza di attività antropiche, come il turismo e le attività di ricerca svolte nelle basi. Ciò rappresenta una problematica notevole, visto che la loro presenza all’interno del ghiaccio può agevolarne lo scioglimento, oltre a determinare un pericolo per gli animali che vivono in quelle aree, dovuto all’eventuale ingestione, che può condizionare la catena alimentare di quegli ecosistemi”, dice Maurizio Azzaro, responsabile della sede Cnr-Isp di Messina e coautore della review.

Pubblicato in Tecnologia


Ricercatori guidati dall’Università di Padova aprono nuove prospettive di contenimento e cura grazie ai piccolissimi anticorpi nanobodies.


La malattia da coronavirus (COVID-19) è una malattia respiratoria contagiosa causata dal virus SARS-CoV-2. Gli esiti clinici sono variabili e vanno dal recupero spontaneo alla malattia grave fino alla morte.
Nel marzo 2020, l'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato una pandemia globale di COVID-19, tre anni dopo sono stati confermati in tutto il mondo circa 670 milioni di casi e 6,8 milioni di decessi. I coronavirus, incluso SARS-CoV-2, contengono un genoma di RNA a filamento singolo racchiuso in un capside virale costituito da quattro proteine strutturali: la proteina nucleocapside (N), la proteina spike (S), la proteina E e la proteina di membrana M. Team di ricercatori internazionale guidato dall’Università di Padova ha pubblicato sulla prestigiosa rivista «Cell Death and Disease» lo studio Perturbation of the host cell Ca2+ homeostasis and ER-mitochondria contact sites by the SARS-CoV-2 structural proteins E and M che evidenzia il ruolo delle proteine E ed M – fino a oggi ancora poco caratterizzate - nei meccanismi di proliferazione cellulare dei coronavirus, aprendo nuove prospettive di contenimento e cura delle epidemie da diversi tipi di coronavirus.

Pubblicato in Medicina


Grazie a tecniche avanzate di archeotossicologia, un team dell’Università degli Studi di Milano ha studiato le pratiche farmacologiche messe in campo nel XXVII secolo nella Cà Granda, l’ospedale dei milanesi. La ricerca è stata pubblicata su Scientific Reports.
Nel Seicento, il papavero da oppio veniva somministrato dai medici dell’epoca ai pazienti dell’Ospedale Cà Granda per le sue proprietà sedative, oltre che per il trattamento dell’algesia e in qualità di antitussivo: lo ha scoperto un team di scienziati dell’Università Statale di Milano che ha recentemente pubblicato l’articolo su Scientific Reports. La ricerca è stata coordinata da Gaia Giordano, dottoranda in Medicina Traslazionale (supervisore Prof. Francesco Sardanelli) presso il laboratorio di analisi chimico-tossicologiche forensi del Dipartimento di Scienze Biomediche della Salute della Statale di Milano e da Mirko Mattia, curatore e conservatore della CAL (Collezione Antropologica del LABANOF) e del MUSA (Museo Universitario delle Scienze Antropologiche, Forensi e Mediche per i Diritti Umani), sotto la guida di Cristina Cattaneo, direttrice del LABANOF (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense), del MUSA e della CAL e Domenico Di Candia, tossicologo forense presso il laboratorio di analisi chimicotossicologiche forensi.

Pubblicato in Medicina


Pubblicato su «Science Advances» lo studio congiunto dei ricercatori delle università di Padova e Barcellona che rivela come i bambini siano in grado di iniziare a imparare la grammatica della lingua molto prima di quanto si pensasse finora.


Lo fanno prestando attenzione alla sonorità del linguaggio Il linguaggio umano ha un’incredibile forza espressiva. Ciò è dovuto alla nostra abilità di pronunciare frasi lunghe e complesse in cui le parole che sono correlate insieme possono essere talvolta molto distanti tra loro. Ad esempio comprendiamo benissimo che nella frase “Lei dorme bene”, “Lei” è il soggetto di “dorme”, ma è altrettanto vero che capiamo lo stesso legame nella frase “Lei, che non beve caffè, dorme bene” in cui le parole “Lei” e “dorme” sono separate da altre.
Gli adulti sono esperti con la lingua perciò non ci sorprende affatto che possano facilmente capire e produrre frasi come queste. Ma come funziona per i bambini molto piccoli, quelli che stanno appena imparando la lingua? Come fa il loro cervello a trovare le regolarità tra parole che sono separate da altre in una frase? Dato che ci sono infinite possibili parole che potrebbero star bene insieme, sembra un compito davvero arduo quello di tenere traccia di tutte le possibilità.

Pubblicato in Scienza generale


Uno studio condotto dalla Fondazione Tettamanti in collaborazione con Sapienza Università di Roma e altri centri di ricerca italiani ha scoperto che l’interazione tra una proteina e il suo recettore induce una popolazione di globuli bianchi a proteggere l’intestino aggredito da una delle più frequenti complicanze dovute al trapianto da donatore di cellule staminali ematopoietiche. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale JCI Insight
Uno studio coordinato dalla Fondazione Tettamanti, in collaborazione con Sapienza Università di Roma e altri centri di ricerca italiani, ha scoperto che l’interazione tra due proteine può essere decisiva per contrastare una delle più frequenti complicanze causate dal trapianto da donatore di cellule staminali ematopoietiche (quelle in grado di generare tutte le altre cellule del sangue). Strumento prezioso per contrastare i tumori del sangue, il trapianto causa in circa il 60% dei pazienti una patologia definita GvHD, Graft-versus-Host Disease che causa infiammazione e danno nei tessuti dell’intestino.

Pubblicato in Medicina

La conferma scientifica arriva da una ricerca condotta da Università di Pisa, Cnr e Infn e pubblicata in “Scientific Reports”.

Anche gli scribi antichi che esercitavano la loro arte sui papiri di Ercolano utilizzavano diversi tipi di griglie per delimitare lo specchio di scrittura. La prima conferma scientifica di questa consuetudine, di cui gli autori classici ci avevano tramandato notizia, si deve ai risultati del gruppo di lavoro del Progetto ERC Advanced Grant 885222-GreekSchools (https://greekschools.eu/), coordinato dal professor Graziano Ranocchia del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa, e dedicato all’analisi con tecniche avanzate dei papiri carbonizzati di Ercolano, custoditi presso la Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli. Lo studio che ha portato a questa importante scoperta è presentato sulla rivista “Scientific Reports”, pubblicata da “Nature portfolio”.

Pubblicato in Scienza generale


Immagine della corteccia somatosensoriale del modello murino, ottenuta al microscopio. Sono visibili gli astrociti (in verde), gli accumuli di beta-amiloide (in bianco) e i nuclei cellulari (in blu)

 


Ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Cnr e dell’Università degli studi di Padova hanno individuato nella mancata attivazione degli astrociti, un tipo di cellule presenti nella corteccia cerebrale, un deficit che pregiudica la funzionalità del cervello nei modelli murini. La ricerca, pubblicata su Nature Communications, potrà favorire la diagnosi precoce della malattia e lo sviluppo di nuove terapie mirate

Un team di ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Padova e Pisa (Cnr-In) e del Dipartimento di scienze biomediche dell’Università degli studi di Padova ha studiato le alterazioni dei segnali intracellulari nella malattia di Alzheimer, una patologia neurodegenerativa - ancora oggi incurabile - che colpisce oltre 50 milioni di persone nel mondo. L’Alzheimer si caratterizza per una progressiva atrofia cerebrale con perdita di memoria e problemi cognitivi e, nella maggior parte dei pazienti, si presenta in forma sporadica. Solo nel 5% dei casi è familiare, ovvero causata da mutazioni genetiche ereditarie.

Pubblicato in Medicina

 


Un nuovo studio coordinato dal Dipartimento di Fisica della Sapienza rivela la possibilità di programmare il movimento di microrobot da sfruttare nel campo biomedico e diagnostico. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Advanced Functional Materials.


L’intelligenza artificiale ha raggiunto un livello di prestazioni tale da poter sostituire l’attività umana in un’ampia gamma di lavori, dalle catene di montaggio ai laboratori di ricerca biomedica. In quest’ultimo campo negli ultimi anni si è assistito a un grande sforzo verso la miniaturizzazione dei processi mediante strumenti avanzati, specifici per la diagnostica e la terapia a livello delle singole cellule.

Pubblicato in Fisica

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