Un gruppo dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia ha compreso l’importante ruolo svolto dalla proteina DDX3X nel preservare l’integrità del genoma cellulare. Tale proteina agisce rimuovendo i filamenti di RNA che, se presenti in eccesso, causano instabilità genomica e mutazioni che possono alterare il corretto funzionamento del genoma stesso. I risultati della ricerca sostenuta da Fondazione AIRC, pubblicati sulla rivista Nucleic Acids Research, potrebbero contribuire a nuove strategie per combattere i processi di trasformazione tumorale.


I ricercatori del Bambino Gesù insieme a quelli dell’Università di Oxford hanno identificato un nuovo meccanismo molecolare attraverso cui alcune malattie rare diventano più frequenti.


Le “nuove mutazioni” che causano numerose malattie genetiche sono trasmesse prevalentemente per via paterna. Il rischio aumenta col progredire dell’età poiché le cellule che danno origine agli
spermatozoi (spermatogoni) e che contengono queste mutazioni si replicano nel corso di tutta la vita, aumentando così progressivamente di numero. Inoltre le cellule portatrici del gene mutato possono presentare un “vantaggio clonale”, si replicano cioè di più di quelle sane rendendo di fatto maggiore il rischio di trasmettere una malattia rara ai propri figli. Un nuovo meccanismo molecolare alla base di questo processo è stato identificato da uno studio congiunto dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e dell’Università di Oxford pubblicato sulla rivista scientifica The American Journal of Human Genetics.

 

Messo a punto da studiosi dell’Università di Bologna e del Dartmouth College, è un innovativo template della superficie corticale, costruito a partire dall’anatomia di 1031 cervelli umani, che permette di realizzare studi di risonanza magnetica funzionale con meno dati ed un maggiore livello di replicabilità e riproducibilità Bologna, 1 agosto 2024 - Un nuovo strumento, più efficiente, più accurato e più economico, per studiare il funzionamento della corteccia cerebrale. Si chiama “Onavg”, abbreviazione di “Open Neuro Average”, ed è nato dal lavoro congiunto di studiosi dell’Università di Bologna e del Dartmouth College (USA).


I ricercatori del Labanof dell’Università Statale di Milano hanno esaminato due scheletri di donne e dei loro feti, con deformità attribuibili all'osteomalacia, una patologia legata alla fragilità ossea e
associata alla carenza di vitamina D. Carenza che potrebbe essere stata causata da celiachia. I resti, risalenti all’Alto Medioevo, sono stati rinvenuti nei cimiteri milanesi della Basilica di Sant'Ambrogio e della Basilica di San Vittore al Corpo. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Archaeological Science.

L’osteomalacia (o “rachitismo” nei bambini) è causata da una carenza di vitamina D, in questo caso probabilmente derivante da celiachia. Si tratta di una patologia legata alla fragilità ossea, che ha influito sulla salute di due donne in stato di gravidanza nell’Alto Medioevo, aumentando i rischi di complicanze durante il parto.


Una ricerca della Sapienza e dell’Istituto Italiano di Tecnologia ha descritto per la prima volta un meccanismo di controllo della morfologia dei neuroni e delle comunicazioni nervose che si basa sull’interazione tra un RNA non codificante e un RNA messaggero. Lo studio, pubblicato su Nucleic Acids Research, apre nuove interpretazioni sull’effettivo ruolo dei vari tipi di RNA nei processi biologici
Le molecole di RNA che non producono proteine, dette non codificanti, sono state descritte nell’ultimo decennio di ricerche come fondamentali per la modulazione dell'espressione dell’informazione contenuta nei geni e dei processi che determinano lo sviluppo di tessuti e organi diversi, compreso il sistema nervoso. La loro peculiare caratteristica di agire sul singolo tessuto in maniera specifica e in momenti precisi dello sviluppo e del differenziamento cellulare rende questa classe di molecole estremamente interessante nell’ ambito della ricerca biomedica.

 

Pubblicato su «Journal of Molecular Sciences» lo studio dell’Università di Padova che esplora il ruolo dell'infiammazione e dello stress ossidativo, fenomeni caratteristici del COVID-19, nell'accelerazione dell'invecchiamento biologico Il team interdisciplinare Medicina del Lavoro dell'Azienda Ospedale - Università di Padova ha recentemente pubblicato su «Journal of Molecular Sciences» lo studio dal titolo “Revealing the Hidden Impacts: Insights into Biological Aging and Long-Term Effects in Pauci - and Asymptomatic COVID-19 Healthcare Workers” che esplora il ruolo dell'infiammazione e dello stress ossidativo, caratteristiche del COVID-19, nell'accelerazione dell'invecchiamento biologico come conseguenze a lungo termine dell’infezione anche in forma poco o per nulla sintomatica. La ricerca, guidata dalla professoressa Sofia Pavanello del Dipartimento di Scienze Cardio - Toraco - Vascolari e Sanità Pubblica dell'Università di Padova, è stata effettuata su 76 operatori sanitari dell’azienda ospedaliera contagiati nella prima ondata e poco o per nulla sintomatici al COVID19.


Una nuova ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica eLife ha testato con successo una procedura di neurostimolazione per disinnescare le reazioni corporee di allarme associate alla memoria traumatica. La sperimentazione è stata condotta dal ricercatore Eugenio Manassero insieme al team di ricerca coordinato dal Prof. Benedetto Sacchetti del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino e dalla Prof.ssa Raffaella Ricci del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino.

 In seguito a un’esperienza traumatica, nel cervello si forma un ricordo dell’evento che racchiude due principali componenti: la rappresentazione consapevole di ciò che è accaduto e la valenza emotiva associata all’episodio. Quest’ultima si manifesta attraverso modificazioni delle risposte corporee (come l’aumento del battito cardiaco e della sudorazione). Queste modificazioni degli stati corporei sono percepite come spiacevoli dalla persona, provocando sentimenti di paura o di panico, e possono talvolta evolversi in veri e propri sintomi di patologie, quali il disturbo post-traumatico o il disturbo d’ansia.


In uno studio internazionale, coordinato dal Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli della Sapienza Università di Roma, è stata utilizzata una tecnica all’avanguardia per cogliere i dettagli del meccanismo di inibizione di una proteina metabolica da parte dell’RNA. I risultati della ricerca sostenuta da Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro sono stati pubblicati sulla rivista Molecular Cell. Se i dati saranno confermati in ulteriori studi, potranno offrire nuove speranze di applicazione delle terapie a RNA nella lotta contro il cancro
Le cellule tumorali sono in grado di rielaborare le proprie funzioni in modo da crescere più velocemente e sopravvivere a condizioni avverse, aumentando per esempio la produzione di specifiche proteine. La ricerca potrebbe fornire strumenti per interferire con questi processi tramite terapie a base di RNA. Queste ultime infatti potrebbero a breve rivoluzionare la medicina, grazie alla loro capacità di influenzare direttamente l’espressione genica e di conseguenza la produzione di proteine all'interno delle cellule.

 

In una ricerca internazionale coordinata dalla Sapienza Università di Roma e sostenuta da Fondazione Airc, un gruppo di scienziati coordinati da Silvia Piconese ha scoperto che le cellule immunitarie Treg, tra le responsabili della crescita dei tumori, si moltiplicano grazie all’apporto di ferro. Questo avviene attraverso un meccanismo evolutivo coinvolto nello sviluppo del sistema immunitario nei primi mesi di vita. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista JCI insight.
Le cosiddette Treg sono cellule del sistema immunitario che, anziché combattere un cancro, lo aiutano a progredire, accumulandosi nel sito tumorale. Per moltiplicarsi, le cellule Treg hanno però bisogno di energia e di vari nutrienti. Tra le sostanze richieste c’è il ferro, un elemento vitale per tutte le cellule che si trovano nell’organismo, sia quelle che ci appartengono, sia quelle microbiche che costituiscono il microbiota. Il ferro è infatti coinvolto in molte reazioni metaboliche, tra cui quelle che avvengono all'interno dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule. Anche per questo il ferro ha un ruolo fondamentale sia nelle risposte immunitarie che ci proteggono dai tumori, sia nei processi deviati che aiutano il cancro a progredire.

Immagine schematica di un astrocita che abbraccia una molecola di grafene

 

Un gruppo di ricerca coordinato dal Cnr-Isof, con la partecipazione di Cnr-Ismn, Unibo e Czech Academy of Science, ha verificato che il grafene ha proprietà in grado di controllare e modulare le attività degli astrociti, una tipologia di cellule del cervello. Lo studio, pubblicato su Nature Nanotechnology, potrà avere ricadute positive per la cura di importanti e complesse patologie cerebrali come epilessia e ictus

Un lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Nature Nanotechnology dimostra che, sfruttando le diverse proprietà di materiali a base di grafene, si possono controllare selettivamente i segnali degli astrociti, i quali a loro volta, stimolati elettricamente, sono in grado di alterare l’attività dei neuroni.
La ricerca è coordinata dall’Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isof), in collaborazione con l’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati (Cnr-Ismn), i dipartimenti Fabit e Dei dell’Università di Bologna (Unibo) e l’Istituto di medicina sperimentale della Czeck Academy of Science di Praga (Repubblica Ceca).

 

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