Dal 1850 a oggi più che raddoppiato il tasso di innalzamento del Mediterraneo rispetto agli ultimi 4000 anni

L’Università di Pisa unico partner italiano dello studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature Communications
Nell’ultimo secolo e mezzo il Mediterraneo si è innalzato di circa 1,25 millimetri l’anno, un tasso più che raddoppiato rispetto agli ultimi 4000 anni. Il dato arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e condotto da un team internazionale coordinato da Matteo Vacchi, ricercatore dell’Università di Pisa, cervello di ritorno nel 2019 grazie al programma Rita Levi Montalcini.
“Questo lavoro ci ha permesso di quantificare in modo dettagliato gli impatti delle emissioni di gas serra legate alla rivoluzione industriale sull’innalzamento del Mar Mediterraneo - spiega Matteo Vacchi del Dipartimento di Scienze della Terra – questo ci permetterà di calibrare meglio gli scenari futuri, i modelli attualmente disponibili sono infatti rilasciati su scala globale e devono quindi essere calibrati su scala più piccola, in particolare per un bacino semi-chiuso come il Mediterraneo dove le conseguenze del cambiamento climatico sono significativamente diverse da quelle degli Oceani globali”.
Lo studio ha riguardato complessivamente l’andamento dei tassi di innalzamento del Mediterraneo centrale e occidentale negli ultimi 10.000 anni.
I cambiamenti climatici degli ultimi 150 anni hanno modificato la biodiversità in Italia

L’Università degli Studi di Milano ha analizzato 150 anni di cambiamento climatico e biodiversità in Italia scoprendo come temperature, precipitazioni, densità della popolazione umana ed ecosistemi sono cambiati in modo importante. I risultati appena pubblicati su Nature Ecology & Evolution.
Temperature aumentate di 2°C nell’ultimo secolo, precipitazioni diminuite del 12%, densità di popolazione di sei volte maggiore rispetto alla metà dell’Ottocento nelle aree più antropizzate: sono solo alcuni dei risultati appena pubblicati su Nature Ecology & Evolution che analizzano per la prima volta gli effetti dei cambiamenti climatici, la crescita della popolazione umana ed i cambiamenti nell’uso del suolo sulla biodiversità degli invertebrati in Italia, utilizzando dati raccolti negli ultimi 150 anni. Il team di ricerca dell’Università degli Studi di Milano è stato coordinato da Silvio Marta e Francesco Ficetola del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali e ha dimostrato come il clima (temperatura e precipitazioni), la densità di popolazione e gli ecosistemi siano cambiati in modo impressionante.
Nell’ultimo secolo le temperature sono aumentate in media di 2°C, ma non solo. Nello stesso periodo, le precipitazioni sono diminuite in media del 12%, mentre la densità di popolazione umana è aumentata in modo costante fino al 1980, per poi stabilizzarsi sui livelli attuali (circa sei volte più elevati rispetto all’inizio della serie). Inoltre, la quantità di habitat naturali e seminaturali è diminuita fino al 1950, per poi aumentare di circa il 15%, soprattutto nelle aree di montagna.
Perù, svelata l’origine di uno dei più grandi giacimenti fossili di cetacei al mondo

La bassa concentrazione di ossigeno al fondo, il rapido seppellimento delle carcasse e la precipitazione di minerali come l’apatite e la dolomite subito dopo il seppellimento delle ossa, insieme alla ricchezza biologica originaria. Queste le condizioni che sarebbero all’origine di uno dei più grandi giacimenti di fossili di vertebrati marini del mondo.
Si trova in una delle aree più aride del pianeta, il Deserto di Ica del Perù meridionale, ed è un giacimento così eccezionale perché ospita migliaia di reperti fossili di balene, delfini, foche, squali ed altri pesci, uccelli e rettili risalenti ad un intervallo di tempo compreso tra 14 e 6 milioni di anni fa (un'epoca che i geologi chiamano “Miocene”).
Il gruppo di ricercatori di Milano-Bicocca (Giulia Bosio ed Elisa Malinverno), di Camerino (Claudio Di Celma) e di Pisa (Giovanni Bianucci, Alberto Collareta, Anna Gioncada e Karen Gariboldi), in collaborazione con studiosi di vari istituti di ricerca esteri, ha svelato le cause dell’origine di questo straordinario sito paleontologico grazie allo studio di quasi 900 reperti, spesso eccezionalmente conservati, in un articolo dal titolo “Taphonomy of marine vertebrates of the Pisco Formation (Miocene, Peru): Insights into the origin of an outstanding Fossil-Lagerstätte”, appena pubblicato sulla rivista PLOS ONE.
Nanomedicina e terapia cellulare insieme per promuovere la rigenerazione nervosa

Al via il nuovo progetto coordinato da Unipi e finanziato da Wings for Life.
Dopo la conclusione del progetto “Meccanotrasduzione dei neuroni: una strategia futura per la rigenerazione delle lesioni del midollo spinale?” che ha visto la pubblicazione sulla rivista Journal of Neuroscience di un lavoro intitolato “Extremely Low Forces Induce Extreme Axon Growth”, la fondazione Wings for Life rinnova la sua fiducia al team della professoressa Vittoria Raffa del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa con il finanziamento di un nuovo progetto dal titolo “Stretch-growth e terapia cellulare: un nuovo approccio combinatorio per il trattamento delle lesioni del midollo spinale”.
Scoperte sei nuove varianti geniche alla base dell’Alzheimer e studiato un punteggio di rischio poligenico in grado di identificare i soggetti ad elevato rischio di sviluppare la malattia

L’Università degli Studi di Milano e il Policlinico di Milano parte del consorzio internazionale che ha pubblicato su Nature Communications la scoperta di 6 nuove varianti geniche, candidate implicate nei meccanismi biologici alla base della malattia di Alzheimer, e di un punteggio di rischio poligenico, che consente di identificare i soggetti ad elevato rischio di sviluppare la malattia. Analizzato il DNA di oltre 400mila soggetti.
La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista “Nature Communications”, rappresenta il più grande studio genetico ad oggi realizzato, grazie al contributo di tutti i più importanti gruppi di ricerca Europei ed Americani, riuniti e coordinati in un unico grande consorzio multinazionale.
Africa: trovate elevate concentrazioni di metano in un piccolo lago

Il bacino, situato nella Rift Valley (Kenya), è stato studiato dall’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche, in collaborazione con Cnr-Igg e Cnr-Irbim, le Università di Firenze e di Calabria e studiosi kenioti, spagnoli, inglesi e tedeschi. La scoperta aggiunge un tassello importante alla comprensione dei processi alla base della produzione di questo gas in acque lacustri superficiali e ossigenate. I risultati sono pubblicati su Communication Biology.
Una spedizione scientifica nella Rift Valley dell'Africa orientale (Kenya) ha portato alla scoperta di una concentrazione straordinariamente elevata di metano, (fino a 156 µmol L-1 nelle acque superficiali ossigenate), in un piccolo lago vulcanico. Le acque di questo lago, stabilmente stratificato, mostrano un elevato contenuto di carbonato di sodio, con un pH estremamente basico. I profili verticali dei gas disciolti e la loro firma isotopica hanno chiaramente mostrato un'origine biogenica del metano.
Così la cellula cambia identità: scoperto un meccanismo all'origine di un gruppo di tumori

Su Molecular Cell pubblicati i risultati di una ricerca condotta da gruppi di ricerca di IEO e dell’Università Statale di Milano, e sostenuta da Fondazione AIRC.
Un gruppo di ricercatori del dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano ha identificato uno dei meccanismi molecolari che causa la “perdita di identità” cellulare. Si tratta di una caratteristica tipica delle cellule tumorali, e il meccanismo individuato potrà forse essere sfruttato per riportare tali cellule alla normalità. I risultati della ricerca, sostenuta da Fondazione AIRC, sono stati appena pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Molecular Cell.
Greenpeace: dal Tirreno all’Adriatico, i cambiamenti climatici minacciano anche la biodiversità dei mari

Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità dei mari italiani sono sempre più evidenti: lo confermano i monitoraggi condotti questa estate dai ricercatori del DiSTAV dell’Università di Genova nelle aree marine protette di Capo Carbonara Villasimius (Sardegna) e di Torre Guaceto (Puglia), due delle stazioni di studio del progetto “Mare caldo” di Greenpeace, che oggi collabora con ben otto aree marine protette per studiare l’impatto dell’aumento delle temperature nei mari italiani.
I monitoraggi condotti in Sardegna nell’area marina protetta di Capo Carbonara mostrano una situazione in rapida evoluzione: fenomeni di sbiancamento delle alghe corallinacee fino ai 35 metri, non presenti nell’area lo scorso anno, e gravi impatti sulle colonie di gorgonie, soprattutto tra i 20 e 30 metri di profondità, dove in alcuni siti si è riscontrata la morte del 90 per cento delle colonie di gorgonie gialle (Eunicella cavolini). Per trovare gorgonie gialle e bianche (Eunicella singularis) in buone condizioni bisogna scendere fino a 30-40 metri. Le gorgonie rosse (Paramuricea clavata) presentano invece ancora i segni delle morie registrate nelle estati tra il 2018 e il 2020 quando le temperature superficiali hanno superato di circa un grado le medie mensili. Il fenomeno di tropicalizzazione del Mediterraneo è inoltre sempre più evidente: aumentano le specie termofile native, tra cui il pesce pappagallo (Sparisoma cretense), la cernia dorata (Ephinephelus costae) e il vermocane (Hermodice carunculata), la cui popolazione è esplosa negli ultimi anni anche qui, come in Sicilia, segnale di un lento spostamento verso nord dell’abbondanza di alcune specie meridionali.
COVID-19 in forme gravi: chi rischia di più? Università di Genova e Ospedale Gaslini partecipano allo studio pubblicato su Nature

I ricercatori del Gaslini e dell’Università di Genova contribuiscono a un maxi studio internazionale pubblicato su ‘’Nature’’, realizzato da 3500 ricercatori di 25 Paesi, che ha coinvolto 50 mila pazienti e 2 milioni di controlli sani. Lo studio ha identificato 13 regioni del genoma che portano alla forma grave di COVID-19; confermati fumo e obesità tra i fattori di rischio.
Quali sono i fattori genetici che possono influenzare il decorso della malattia da COVID-19, per cui alcuni pazienti sviluppano una malattia grave e altri manifestano sintomi lievi od addirittura assenti? Un maxi-studio studio realizzato con un’ampia collaborazione internazionale rivela che diversi marcatori genetici sono associati all'infezione da SARS-CoV-2 e possono influenzare la gravità del COVID-19. In particolare, 13 regioni genomiche (loci) aumentano il rischio di sviluppare forme gravi dell’infezione; confermati, inoltre, i fattori di rischio dipendenti dal fumo e dall’alto indice di massa corporea. Questi risultati provengono da uno dei più grandi studi di associazione sull'intero genoma mai eseguiti, che include quasi 50mila pazienti e due milioni di controlli sani.
Individuati 13 fattori genetici che influenzano la risposta al COVID-19

Il team di ricerca dell’Università degli Studi di Milano e del Policlinico di Milano, parte del progetto globale COVID-19 Host Genomics Initiative, ha contribuito a identificare 13 posizioni nel genoma umano e altri fattori predittivi che influenzano la risposta al COVID-19. I risultati appena pubblicati su Nature.
Quali sono i fattori genetici che influiscono sulla risposta al COVID-19, per cui alcuni pazienti sviluppano malattie gravi e pericolose che richiedono il ricovero in ospedale, mentre altri se la cavano con sintomi lievi o addirittura senza alcun sintomo?
Nel marzo 2020, migliaia di scienziati di tutto il mondo hanno unito le forze per rispondere a questa domanda attraverso uno di uno dei più ampi studi di associazione genome-wide mai eseguiti: gli scienziati fanno parte del progetto globale COVID-19 Host Genetics Initiative (COVID-19 HGI) che rappresenta attualmente una delle più estese collaborazioni nel campo della genetica umana, con oltre 3.300 autori e 61 studi di 25 paesi, che è guidato da Andrea Ganna e Mark Daly, del Institute of Molecular Medicine of Finland (FIMM), Università di Helsinki. Del consorzio fa parte anche il gruppo di studio Fondazione COVID-19 Genomic Study (FOGS) presso la Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano, coordinato da Luca Valenti, docente di Medicina Interna alla Statale e medico del centro trasfusionale del Policlinico.
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