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I risultati di uno studio clinico condotto su oltre 5000 pazienti in 30 anni di osservazione hanno dimostrato che questa forma di diabete (LADA) non è esente da gravi complicanze microvascolari contrariamente a quanto ritenuto finora, ma comporta gravi conseguenze all’apparato visivo e urinario. Il lavoro, frutto di una collaborazione fra la Sapienza e l’Università di Oxford, è ora pubblicato sulla rivista The Lancet Diabetes & Endocrinology
Il diabete autoimmune latente dell’adulto, chiamato LADA, è una forma autoimmune a lenta evoluzione di diabete che si manifesta dopo i 30 anni. Spesso misconosciuta ed erroneamente diagnosticata come diabete di tipo 2, questa patologia non manifesta le complicanze renali e oculari fin da subito e ciò determina molto spesso un ritardo, sia nell’identificazione del tipo di diabete, sia nella definizione di trattamenti adeguati.

Riconoscere prontamente la patologia può essere quindi fondamentale per prevenire le conseguenze più gravi soprattutto nelle fasi avanzate della malattia. È quanto emerge dai risultati di uno studio, frutto della collaborazione fra il Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza e l’Università di Oxford, recentemente pubblicati sulla rivista The Lancet Diabetes & Endocrinology.

Pubblicato in Medicina


Un nuovo studio internazionale, a cui ha preso parte la Sapienza, ricostruisce le dinamiche migratorie post-neolitiche nelle isole del Mediterraneo occidentale e rivela nuovi dati sulla storia genetica degli abitanti. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Ecology & Evolution.


Fin dalla preistoria il Mar Mediterraneo ha rappresentato una delle principali rotte per le migrazioni marittime nonché centro delle relazioni commerciali e delle invasioni, ma la storia genetica delle isole di questo bacino è ancora poco documentata, nonostante i recenti sviluppi nello studio del DNA antico.

Un nuovo studio internazionale, nato dalla collaborazione tra ricercatori della Sapienza, dell'Università di Vienna, dell'Università di Harvard, dell'Università di Firenze insieme alla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le provincie di Sassari e Nuoro, ha analizzato il DNA di 66 individui preistorici per ricostruire la storia genetica delle antiche popolazioni delle isole del Mediterraneo, in particolare Sicilia, Sardegna e isole Baleari.

L’analisi del DNA antico di un gruppo di individui, risalenti a Neolitico, Età del Bronzo ed Età del Ferro, ha portato alla luce un modello complesso di migrazioni dall’Africa, dall’Asia e dall’Europa che varia in dinamiche e tempistiche per ciascuna delle isole del Mediterraneo. In Sicilia, ad esempio, è stata riscontrata una nuova discendenza a partire dalla media Età del Bronzo (2000-1550 a.C.), che si sovrappone cronologicamente con l'espansione della rete commerciale greco-micenea.

Pubblicato in Paleontologia


Il gruppo di ricerca


Pubblicato su The Journal of Clinical Investigation uno studio italiano nato dalla collaborazione tra Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Itb), Istituto nazionale di genetica molecolare di Milano (Ingm), Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma

In alcuni tipi distrofia, i muscoli sono soggetti ad un invecchiamento prematuro e patologico a causa di una alterazione della forma tridimensionale del DNA. Lo hanno mostrato i ricercatori del gruppo Chromatin and Nuclear Architecture, guidato dalla biologa Chiara Lanzuolo (Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche), in uno studio appena pubblicato con i primi nomi dei biologi Andrea Bianchi e Chiara Mozzetta e realizzato con il sostegno di Ministero della salute, Fondazione Cariplo e AFM-France.

Studiando le cellule staminali muscolari, gli scienziati del team hanno infatti rilevato che nella distrofia l’accelerazione dell’invecchiamento muscolare è dovuto ad un 'cambio d’identità' delle stesse cellule che normalmente provvedono al ricambio delle fibre danneggiate. Ma quale ruolo ha la struttura tridimensionale del DNA? Lo chiarisce la stessa Lanzuolo: “Sappiamo che pur avendo il medesimo DNA, le cellule di uno stesso organismo presentano aspetto e funzioni diverse. Ciò avviene perché in una determinata cellula solo una piccola parte del DNA viene 'letta'. La diversità di lettura delle informazioni è determinata sia dalla forma tridimensionale del DNA che dal suo orientamento nel nucleo, che dipendono a loro volta da fattori chiamati regolatori epigenetici”.

Pubblicato in Medicina

 


Al via un progetto di ricerca dell'Università di Pisa in collaborazione con il Comune di Capannori e la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca . I mozziconi delle sigarette potrebbero presto essere riutilizzati e servire come substrato inerte per la crescita di piante ornamentali attraverso tecniche di coltura idroponica. È questo l'obiettivo di un progetto di ricerca coordinato dal professor Lorenzo Guglielminetti, del Centro di ricerche agro-ambientali "Enrico Avanzi" dell'Università di Pisa, in collaborazione con il Comune di Capannori e con il finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.


Il progetto prevede innanzitutto di selezionare le migliori tecniche di preparazione del materiale inerte. I residui di sigaretta dovranno essere prima separati dalle componenti biodegradabili - carta e tabacco - e poi opportunamente trattati per risultare chimicamente e fisicamente adatti all’uso. Ottenuto il substrato inerte più adatto, saranno condotte prove di germinazione di diverse specie vegetali al fine di individuare quelle che meglio si adattano al sistema. Con queste ultime saranno poi condotte prove di crescita fino al completamento del ciclo vitale e produttivo. Le acque e i residui di pulizia dei mozziconi saranno parallelamente utilizzate in sistemi chiusi di allevamento di alghe monocellulari al fine di ottenere acque decontaminate e biomasse algali utilizzabili come biocombustibile.
I risultati attesi potranno andare in molteplici direzioni.

Favorendo la raccolta differenziata dei residui di sigaretta, si raggiungerà il risultato fondamentale di ridurre la quantità di rifiuti abbandonati, mentre con il loro trattamento si riuscirà a produrre materiale vegetale utilizzabile all'interno della stessa comunità. Infine, tramite l'uso di alghe, si riuscirà a decontaminare le acque di lavaggio dei filtri con contestuale produzione di biomassa valorizzabile per produzione di energia.

Pubblicato in Ambiente

 


Una ricerca rivela la predominanza del pesce nella dieta degli abitanti del Sahara di 10.000 anni fa e getta luce sulle fasi del progressivo inaridimento nella regione. Lo studio coordinato dal Dipartimento di Scienze dell'antichità della Sapienza, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università degli Studi di Milano e con il Royal Belgian Institute of Natural Sciences di Brussels, è ora pubblicato su Plos One. 


Uno studio appena pubblicato su PLOS ONE, coordinato da Savino Di Lernia del Dipartimento di Scienze dell'antichità della Sapienza e svolto in collaborazione con Andrea Zerboni del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università degli Studi di Milano e con Wim Van Neer del Royal Belgian Institute of Natural Sciences di Brussels, rivela come la fauna ittica rappresenti la maggior parte dei resti animali emersi nel riparo del Tararkori, nel Sahara centrale libico, nel primo e medio Olocene.

Il deposito archeologico indagato ha restituito migliaia di ossa di pesce, corrispondenti a specie diverse e a individui di grandi dimensioni, oltre un metro di lunghezza, paragonabili a quelli che oggigiorno vivono nel fiume Nilo o nei grandi laghi africani.

Tutti i resti animali restituiti dal riparo del Takarkori, più di 17.500, sono stati identificati come scarti alimentari, grazie ai segni di taglio e di cottura che presentavano; di questi, solo il 19% è costituito da mammiferi, uccelli, rettili e molluschi (gli anfibi sono l’1% del totale) mentre il restante 80% è riconducibile alla fauna ittica.

La datazione dei resti ha attestato la graduale riduzione della fauna ittica a favore dei mammiferi: dalla predominanza ittica pari al 90% tra gli anni 10.200-8.000, si è arrivati a circa il 40% di apporto ittico tra il 5.900-4.650; questo dato consente di apprezzare la progressiva affermazione della pastorizia nel Sahara, durante la quale la risorsa ittica ha gradualmente perso importanza, per scomparire intorno ai 5000 anni fa.

Pubblicato in Paleontologia

Un nuovo contributo pubblicato sulla rivista PNAS, con il coordinamento del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza, mette in relazione il fenomeno della diffusione delle malattie infettive con l'azione dell'uomo sulla natura.


L'attuale epidemia di Covid-19, originata nella provincia cinese di Hubei e causata da un coronavirus simile a quello della Sars, sta tenendo ancora una volta il mondo sotto scacco. Questa non è che l'ultima di una serie di pandemie che hanno terrorizzato paesi di ogni parte del mondo negli ultimi anni: Ebola, Sars, Zika, MERS, H1N1, solo per citarne alcune. Tutte queste pandemie hanno una cosa in comune: sono di origine zoonotica, sono trasmesse cioè dagli animali, soprattutto selvatici. Ma è possibile prevenire questi fenomeni?

I recenti focolai di malattie infettive, come il Covid-19, sono stati associati alle alte densità di popolazione umana, ai livelli insostenibili di caccia e di traffico di animali selvatici, alla perdita di habitat naturali (soprattutto foreste) che aumenta il rischio di contatto tra uomo e animali selvatici e all’intensificazione degli allevamenti di bestiame (specie in aree ricche di biodiversità).

Un recente contributo, pubblicato sulla rivista PNAS, con il coordinamento di Moreno Di Marco del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza, discute il rischio di insorgenza di pandemie nell'ottica dei cambiamenti ambientali causati dall'uomo. Lo studio evidenzia che il rischio di insorgenza di pandemie non dipende di per sé dalla presenza di aree naturali o di animali selvatici, ma piuttosto dal modo in cui le attività antropiche influiscono su queste aree e queste specie.

Pubblicato in Ambiente


Un nuovo studio coordinato dal Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza, in collaborazione con l’Istituto Pasteur Italia e l’Istituto italiano di tecnologia, ha dimostrato per la prima volta l’efficacia della fenformina nel contrastare i tumori cerebrali pediatrici. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Cell Reports
Il medulloblastoma è il tumore maligno del cervello più comune in età pediatrica, con un’incidenza in Italia di circa 7 bambini colpiti ogni milione. Provocato da mutazioni del DNA, il medulloblastoma si forma nel cervelletto, l’area del sistema nervoso situata alla base del cervello e deputata al controllo dell’equilibrio e della coordinazione dei movimenti. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è di poco superiore al 60% e finora non sono state identificate strategie efficaci per la prevenzione (fonte: AIRC).

Una cura migliore per il medulloblastoma è l’obiettivo di uno studio di un gruppo di ricercatori della Sapienza, dell’Istituto Pasteur Italia e dell’IIT-Istituto italiano di tecnologia, coordinati da Gianluca Canettieri. Sono loro gli autori della scoperta pubblicata sulla rivista Cell Reports che dimostra che la fenformina, un farmaco utilizzato in passato come antidiabetico insieme alla più conosciuta metformina, ha la capacità di bloccare lo stato di avanzamento del tumore.

Pubblicato in Medicina

Identificato il ruolo anti-invecchiamento neurale in vivo di un componente dell’olio extravergine di oliva, l’idrossitirosolo, presente in abbondanza anche negli scarti di lavorazione. Riscontrati particolari effetti benefici negli anziani. I risultati pubblicati su Faseb Journal sono stati dimostrati da una équipe di ricercatori del Cnr e della Università della Tuscia

Nel cervello dei mammiferi, in particolare nell’ippocampo, vengono prodotti nell’arco di tutta la vita nuovi neuroni. Questo processo denominato neurogenesi è indispensabile per la formazione della memoria episodica, come hanno dimostrato recenti ricerche: i nuovi neuroni dell’ippocampo vengono generati a partire da cellule staminali e durante l’invecchiamento ha luogo un calo progressivo di entrambi, che è all’origine di una drastica riduzione della memoria episodica. L’idrossitirosolo, composto naturalmente presente nell’olio extravergine di oliva, ha forti capacità antiossidanti e protettive sulle cellule, ed è noto che diversi fattori, tra i quali la dieta, sono in grado di stimolare la neurogenesi adulta.

Pubblicato in Medicina

Immagini: Foto 1: Nel DNA, qui rappresentato dalla sequenza delle quattro basi azotate A, T, G e C, è stata individuata una sequenza chiave (in rosso) che se mutata porta alla moltiplicazione dei petali in petunia, rosa, e garofano. Immagine: Stefano Gattolin.

 

Uno studio dell’Università Statale di Milano, dell"Istituto di biologia e biotecnologia agraria del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibba) e del Parco tecnologico padano di Lodi (PTP Science Park), pubblicato su Journal of Experimental Botany, individua in analoghe mutazioni di geni regolatori la causa della moltiplicazione dei petali in alcune popolari varietà di fiori A San Valentino i fiori tornano ad essere protagonisti, con generosissime esplosioni di colori. Siamo ormai abituati ai molti petali di rose, garofani e alcune petunie, ma una ricerca appena pubblicata sul Journal of Experimental Botany, ha rivelato che la loro “petalosità” è dovuta a mutazioni genetiche naturali molto simili tra loro.

Pubblicato in Genetica

 

Didascalia foto: a sinistra la mela Rotella, a destra la mela Casciana


Uno studio dell’Università di Pisa sulle mele Rotella e Casciana dimostra le loro eccellenti proprietà nutrizionali


Una mela al giorno fa bene, se è una varietà antica, e fa ancora meglio se è anche toscana. Uno studio condotto all’Università di Pisa e pubblicato sulla rivista Molecules ha analizzato due varietà di mele antiche toscane, la Rotella e la Casciana, scoprendo l’eccellente valore nutrizionale di questi frutti. Dalle analisi biochimiche e molecolari è infatti emerso che, rispetto a varietà commerciali come le Golden o le Fuji, queste due mele hanno un maggior contenuto di antiossidanti, sostanze naturali con proprietà cardioprotettive e antitumorali.

“Oltre a stabilire il valore nutrizionale, il nostro studio era mirato anche alla caratterizzazione genetica di queste due varietà apparentemente molto simili fra loro – spiega Ermes Lo Piccolo borsista del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali – la salvaguardia del materiale genetico antico è infatti importante per conservare la biodiversità delle colture, un aspetto fondamentale anche per gli stessi agricoltori dato che i sistemi ecologici ad alta biodiversità sono più resistenti agli stress ambientali”.

Pubblicato in Medicina

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