Cambiamenti climatici, dal triassico nuovi scenari di futuro
Team internazionale di ricercatori mette a punto nuovo modello paleoclimatico che evidenzia il ruolo dell’attività vulcanica nell’estinzione di massa di 201 milioni di anni fa.
Siamo sicuri che le emissioni di gas serra prodotte dall’Uomo non abbiano alcun analogo naturale nel passato geologico del nostro pianeta?
Rocce di 201 milioni di anni, formatesi durante un’attività magmatica eccezionale e sincrona con una delle più devastanti estinzioni di massa, rivelano evidenze di vulcanismo di breve durata, nell’ordine di pochi secoli…un battito di ciglia per la scala geologica! Lo studio Anthropogenic-scale CO2 degassing from the Central Atlantic Magmatic Province as a driver of the end-Triassic mass extinction, pubblicato nel numero di febbraio della rivista «Global and Planetary Change» e condotto da un gruppo di ricerca internazionale, guidato da Manfredo Capriolo (Università di Padova, ora presso il centro di ricerca CEED, Università di Oslo, Norvegia), ha messo a punto un nuovo modello paleoclimatico che mostra il potenziale impatto delle emissioni di CO2 a scala antropogenica derivanti dall’attività vulcanica eccezionale che ha sconvolto il clima e l’ambiente di fine Triassico, scatenando un catastrofico evento di estinzione di massa.
Una rete di pulsar per “ascoltare” il brusio cosmico di fondo delle onde gravitazionali
I ricercatori del progetto International Pulsar Timing Array (IPTA), avvalendosi dei lavori e delle competenze di diverse collaborazioni di astrofisici di tutto il mondo – inclusi membri dell’Università di Milano-Bicocca e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – hanno recentemente completato l’analisi del più completo archivio oggi disponibile di dati sui tempi di arrivo degli impulsi di 65 pulsar, ciò che resta di stelle di grande massa esplose come supernove. Questa accurata indagine sperimentale rafforza le indicazioni teoriche che suggerirebbero la presenza di un vero e proprio “brusio” cosmico, prodotto da onde gravitazionali di frequenze ultra basse (da miliardesimi a milionesimi di Hertz) emesse da una moltitudine di coppie di buchi neri super-massicci.
Grazie al laser scoperti i meccanismi di protezione del DNA dalla luce solare
Su Nature Communications lo studio che rivela come il DNA disperde l'energia della luce UV: mimportanti le conseguenze nelle nanotecnologie e in farmacologia. La ricerca condotta dall’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Cnr, Politecnico di Milano, Università di Bologna, Università della Tuscia e Heinrich Heine Universität Düsseldorf.
Un nuovo studio pubblicato dalla prestigiosa rivista Nature Communications spiega come il DNA si protegge dalle mutazioni causate dalla luce ultravioletta attraverso i suoi elementi costitutivi, i nucleosidi. I risultati, ottenuti sfruttando impulsi di luce di durata estremamente breve, potranno avere importanti applicazioni nelle nanotecnologie e in farmacologia, come la lotta al tumore della pelle.
Lo studio è stato condotto da un team di ricercatori dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifn), del Politecnico di Milano, dell’Università di Bologna, dell’Università della Tuscia e dell’Heinrich Heine Universität Düsseldorf. Il laser, infatti, permette di generare impulsi di luce incredibilmente brevi, con una durata di pochi milionesimi di miliardesimo di un secondo, e osservare fenomeni rapidissimi, come i processi fondamentali che avvengono quando la luce interagisce con gli organismi viventi, fra cui la visione o la fotosintesi.
Il DNA, la molecola che codifica le informazioni necessarie per la costruzione delle proteine, assorbe efficientemente la componente UV della luce solare, una proprietà comune a moltissime biomolecole.
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