Un'odissea nello spazio è davvero per tutti?

Università degli studi di Padova 29 Gen 2025


Team di ricerca guidato da Padova effettua per la prima volta studio su astronauti in missione e scopre cosa accade al rientro sulla Terra: calo della dopamina, aumento dei livelli di cortisolo e stress sistemico Navigare nello spazio non è più un privilegio riservato ad astronauti professionisti. Questo nuovo tipo di viaggio o di esplorazione si sta espandendo sempre di più ai civili. Questi ultimi però potrebbero giungere alla missione nello spazio senza aver ricevuto un minimum di training o acclimatazione ad ambienti estremi, come lo spazio stesso richiederebbe. Questa diffusione di “space flight” pone allora nuovi importanti interrogativi e cioè quali possano essere le risposte biologiche nell’organismo dei navigatori dello spazio, siano essi ben addestrati o, soprattutto, astronauti dell’ultima ora. Non che studi sperimentali siano mancati negli ultimi decenni atti ad investigare, ad esempio, quali modificazioni possano essere impartite dalla microgravita’ sugli ormoni, il sistema immunitario, la risposta infiammatoria e comportamentale dei soggetti che compiano missioni nello spazio. La maggior parte di queste ricerche, però, è stata condotta ricorrendo a simulazioni a terra o a riproduzioni di viaggi spaziali in laboratorio usando modelli sperimentali.


Ora un nuovo studio guidato dal Prof. Gerardo Bosco del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova, e dalla Prof.ssa MrakicSposta del CNR di Milano, e condotto in tre piloti dell’aviazione italiana che per la prima volta hannoeffettuato un volo suborbitale commerciale, noto come Galaxy 01, getta una nuova luce sulle modificazioni di rilevanti parametri biologici cui
possono andare incontro durante o, meglio, al rientro sulla terra, gli astronauti.


Ricorrendo a tecniche molto innovative e userfriendly come il prelievo di un campione di saliva attraverso una piccola salivette, Bosco, Mrakic-Sposta e colleghi hanno dimostrato che anche una permanenza nello spazio piuttosto breve (come i circa 60 minuti della missione Galaxy 01) sia sufficiente, una volta rientrati a terra, ad alterare i livelli di molecole essenziali per il controllo della risposta allo stress o delle capacità cognitive.

«Abbiamo registrato un netto calo dei livelli circolanti di dopamina, implicata nel controllo del movimento volontario e di risposte emotive, accompagnato da un aumento del brain-derived neurotrophic factor (BDNF), una proteina che presiede al controllo dello sviluppo delle cellule nervose, al loro mantenimento e funzionamento, soprattutto in condizioni di stress, e alla comunicazione tra le cellule nervose stesse – spiega il prof Gerardo Bosco -. Queste alterazioni suggeriscono un’iniziale risposta allo stress. Infatti, a queste alterazioni si è anche accompagnato un aumento significativo dei livelli di cortisolo, ovvero un ormone tipicamente rilasciato in tutte quelle condizioni caratterizzate da affaticamento, tensione e logorio fisico e/o mentale.»

«Questo studio rivela anche che il volo suborbitale induce una diminuzione dei fattori che normalmente prevengono l’aumento dei livelli circolanti e tissutali di radicali liberi dell’ossigeno, instaurando quindi delle condizioni che, nel tempo, potrebbero portare ad un vero e proprio stress ossidativo generalizzato - aggiunge la prof.ssa Simona Mrakic-Sposta -. Abbiamo inoltre scoperto un incremento di particolari molecole implicate nell’innesco e propagazione della risposta infiammatoria.» «Dal ultimo - come sottolinea il dott. Angelo Landolfi, uno degli astronauti (piloti) della missione Galaxy 01, membro del servizio sanitario dell’Aereonautica Militare italiana, e docente a contratto dell’Università di Padova -, non è da sottovalutare il fatto che tutti questi fattori potrebbero eventualmente causare stress sistemico ed alterazione della funzione cognitiva laddove ci fossero ripetute esposizioni a voli suborbitali».


Gli autori rimarcano che, pur trattandosi di uno studio pilota eseguito su soli treastronauti (tutti di sesso maschile e più o meno coetanei), questo è uno dei primi sforzi fatti per meglio caratterizzare i possibili fattori di rischio legati a missioni nello spazio soprattutto se prolungate o ripetute in brevi lassi di tempo, e, non ultimo, se i soggetti lanciati nello spazio non dovessero aver ricevuto un training adeguato e sufficiente. Non a caso, lo studio di Bosco, Makric-Sposta e colleghi Short-term suborbital space flight curtails astronauts’ dopamine levels increasing cortisol/BDNF and prompting prooxidative/inflammatory milieu è stato pubblicato sulla rivista «Military Medical Research» che ha, tra i scopi, non solo aspetti di ricerca di base e clinica concernenti la medicina militare moderna, ma anche ricerca medica di base e clinica con potenziale traslazionale concernenti nell’esposizione di donne e uomini a condizioni ambientali estreme – di natura militare e non - che possano portare a varie forme di stress, incluso quello post-traumatico.

«È nostro auspicio – concludono gli autori – che i nostri dati ottenuti in una finestra temporale relativamente breve (72 minuti tra preparazione, volo e atterraggio) e che mostrano un incipiente stato di stress ossidativo e infiammatorio possano da fare daù guida a studi futuri condotti in soggetti coinvolti in missioni spaziali anche più prolungate o ripetute nel tempo. Questi studi in prospettiva potrebbero evidenziare più in dettaglio quali possano essere le ripercussioni a livello cerebrale e periferico dell’esposizione alla microgravità e ad altre modifiche fisiche dovute alla navigazione nello spazio, focalizzando sulla possibile insorgenza di malattie sia acute sia croniche». Allo studio hanno contribuito anche il Dr. Tommaso Antonio Giacon (UNIPD), la Prof.ssa Vezzoli (CNR di Pisa), ed il Prof. Paolocci (UNIPD e Johns Hopkins di Baltimora).


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