Era noto da tempo che un’eccessiva produzione di interferoni di tipo uno potesse causare danni a livello polmonare, a causa di una risposta immunitaria troppo aggressiva. Al contrario, fino ad oggi, si credeva che gli interferoni di tipo tre potessero proteggere dai virus senza provocare danni per il malato.
Lo studio, invece, ha dimostrato come sia gli interferoni di tipo uno sia quelli di tipo tre vengano prodotti solo nelle vie respiratorie più profonde, ossia nei polmoni, dei pazienti Covid-19. Il virus infatti sembrerebbe capace di nascondersi efficacemente al sistema immunitario nelle vie aeree alte come naso o trachea, mentre la sua presenza verrebbe rilevata soltanto una volta giunto nei polmoni. Utilizzando modelli animali, i ricercatori hanno inoltre verificato come, al contrario di quanto ritenuto fino ad ora, una prolungata esposizione agli interferoni di tipo tre nei polmoni, causi un forte danno alle cellule dell’epitelio polmonare, aumentando la possibilità di sviluppare infezioni secondarie al virus.
«Sebbene gli interferoni di tipo tre possano essere potenzialmente somministrati come un valido farmaco antivirale nelle prime fasi della infezione con SARS-CoV-2, - ha commentato Ivan Zanoni, tra gli autori della ricerca e Professore presso il Dipartimento di Biotecnologie e bioscienze dell’Università degli studi di Milano-Bicocca - il nostro studio suggerisce che la somministrazione tardiva di interferoni possa aggravare la patologia e pone l’attenzione su come la durata e la dose di tale somministrazione debba essere attentamente calibrata per prevenire eventuali effetti deleteri a livello dei polmoni»