In campo oculistico, l'effetto collaterale più comune e noto dato dall'utilizzo dei cortisonici – in particolare il cortisone, il desametasone e il prednisone – è lo sviluppo della cataratta sottocapsulare posteriore (PSC). La correlazione tra l'utilizzo prolungato di cortisonici e la formazione della PSC è nota già dagli anni '60 ed è valida non solo per gli steroidi somministrati per via sistemica, ma anche per quelli assunti per via topica (colliri e pomate) e per inalatoria (spray nasali, aerosol).
Esiste un "effetto dose- tempo" tra l'utilizzo di cortisonici e l'insorgenza della cataratta: più è alta la dose e prolungata la cura, più si alza la probabilità d'insorgenza della cataratta. L'effetto d'induzione della PSC sui bambini è più veloce, anche a dosaggi minori. Secondo molti ricercatori, oltre all'effetto dose va considerata anche la suscettibilità individuale, dovuta molto probabilmente a fattori genetici. Ad ogni modo, l'effetto dose dei cortisonici pone una problematica alla quale i medici devono prestare molta attenzione quando prescrivono cure a base di cortisonici ai loro pazienti, soprattutto in vista di una cura prolungata nel tempo. Data l'esistenza di una suscettibilità individuale allo stesso farmaco e di una suscettibilità diversa di uno stesso individuo a farmaci diversi, non è possibile fare una previsione sul se e sul quando la somministrazione di cortisonici darà origine a una cataratta, quindi è sempre opportuno che un paziente sotto cura steroidea si sottoponga a visite oculistiche regolari per monitorare lo stato di salute del cristallino.
La cataratta da cortisone è solitamente bilaterale e progredisce piuttosto velocemente. Quando la visione risulta talmente offuscata da rendere difficile, se non addirittura pericoloso, lo svolgimento delle normali attività quotidiane – come ad esempio scendere le scale o guidare l'auto – è necessario togliere chirurgicamente la cataratta. È importante non indugiare troppo a lungo, poiché man mano che il cristallino si opacizza, esso diventa particolarmente duro e ciò può causare l'insorgenza di complicanze durante l'intervento.
DIAGNOSI
Quando si sviluppa la cataratta da cortisone l'opacizzazione del cristallino rende la visione annebbiata e, a seconda dell'entità e della localizzazione dell'opacizzazione, si possono avere impedimenti visivi anche molto significativi. Oltre alla visione annebbiata, altri sintomi tipici della cataratta sono: visione sbiadita, percezione alterata dei colori, perdita di contrasto, aumentata sensibilità alla luce, abbagliamento, difficoltà nella visione notturna, necessità di maggiore illuminazione durante la lettura, visione sdoppiata.
Gli esami strumentali necessari durante una visita oculistica approfondita per diagnosticare ed in caso stabilire il giusto momento in cui sottoporsi all'intervento chirurgico di cataratta sono: lo IOL Master che fornisce vari parametri anatomici come la lunghezza del bulbo oculare e la profondità della camera anteriore (cioè la distanza tra cornea e cristallino), nella quale si dovrà accedere con gli strumenti chirurgici durante l'intervento, la Pentacam (topografia, pachimetria e biometria no-contact) che misura lo spessore, la curvatura della cornea e la struttura anatomica angolare, l'ecografia A-Scan che serve a valutare la grandezza e la durezza del cristallino, la tomografia a coerenza ottica (OCT) ad alta risoluzione che analizza ogni singolo strato retinico per vedere che non ci siano patologie retiniche prima dell'intervento chirurgico, che potrebbero complicarsi per un effetto infiammatorio legato alla sua esecuzione nel periodo post operatorio, ed infine l'ecografia B-Scan che mostra se il cristallino è ben posizionato e adesso per tutti i suoi 360° all'apparato sospensore (zonula) del corpo ciliare e se non esistono al momento dell'intervento trazioni vitreo retiniche tali da costituire un fattore di rischio accessorio.
Per approfondire il trattamento : (link) https://romevisionclinic.com/patologie-e-trattamenti/le-cataratte/cataratta-da-cortisone/