Mi scordo perché mangio

Istituto di chimica biomolecolare, Cnr-Icb; Istituto di biochimica e biologia cellulare, Cnr-Ibbc 26 Ott 2021


La salute metabolica richiede anche una buona memoria. Uno studio coordinato dall’Istituto di chimica biomolecolare del Cnr di Pozzuoli descrive un’alterazione funzionale del circuito neuronale che regola la memoria episodica in modello murino di soggetti obesi. Ovvero, una relazione tra neurogenesi e obesità che può influenzare i processi decisionali anche legati alle scelte alimentari sin dall’età giovanile. Lo studio è pubblicato su Nature Communications.


Il cervello dei mammiferi continua a generare neuroni per tutta la vita, a partire dalle cellule staminali neurali, in due aree specifiche chiamate nicchie neurogene: il giro dentato dell'ippocampo e l'area subventricolare. La produzione di neuroni influenza in particolare la memoria episodica, ovvero la capacità di ricordare eventi personali e, di conseguenza, di pianificare azioni individuali future. La memoria episodica è immagazzinata nell’ippocampo, dove risiedono circuiti molto conservati nella scala evolutiva.

 


Un team di ricerca dell'Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr Icb) di Pozzuoli, guidato da Luigia Cristino nell’ambito delle attività della Unità mista internazionale di ricerca con l’Université Laval (Quebec), diretta da Vincenzo Di Marzo (Cnr-Icb), ha dimostrato nel modello murino che giovani adulti obesi vanno incontro ad alterazioni, nella struttura e nella funzione, dei circuiti dell’ippocampo e della capacità di svolgere determinati compiti cognitivi in modo ottimale. Lo studio, pubblicato su Nature Communications, dimostra che una neurogenesi aberrante nel giro dentato è la causa della disfunzione della memoria episodica. “Diversi fattori sono in grado di regolare la neurogenesi nella vita adulta. Il nostro studio ha identificato in particolare due molecole, il neuropeptide orexina e l’endocannabinoide 2-arachidonoilglicerolo, come responsabili dell’alterazione della neurogenesi e del normale funzionamento del circuito della memoria episodica”, spiega Luigia Cristino. “E fornisce le basi anatomo-funzionali per i cambiamenti delle attività dell’ippocampo riscontrate con tecniche di neuroimaging in soggetti giovani adulti con elevato BMI (Body Mass Index) e ridotta capacità di formare e/o recuperare memorie episodiche.


L’effetto si aggiunge alla crescente evidenza che i disturbi cognitivi, che accompagnano l’obesità, possono essere presenti all’inizio della vita adulta”.
Secondo i dati Oms 1,4 miliardi di adulti, il 35% della popolazione mondiale, ha problemi di eccesso di peso, mezzo miliardo di persone adulte è obeso e si prevede che l'obesità infantile aumenterà del 60% nel prossimo decennio. “Questo scenario si prospetta inquietante alla luce del fatto che la memoria episodica, che si dimostra alterata nei soggetti obesi del nostro studio su modello animale, influenza i processi decisionali dell’individuo, nell’ambito del comportamento ma anche delle scelte alimentari”, continua Cristino. “I dati di questa ricerca confermano che nell’equilibrio tra fame e sazietà - in una certa misura governato da segnali chimici quali ormoni, endocannabinoidi, neuropeptidi, ecc. - anche i fattori psicologici svolgono un ruolo cruciale: si tende infatti a mangiare di più davanti allo schermo di un televisore, quando si è distratti e la memoria episodica è meno coinvolta”.


In altre parole, è possibile che il sovrappeso renda più difficile memorizzare cosa e quanto si è mangiato, paradossalmente aumentando la probabilità di eccedere nel cibo. “Comprendere come regoliamo istintivamente il nostro consumo e il nostro comportamento alimentare diventa sempre più importante, al fine di sviluppare strategie terapeutiche antiobesità mirate alla regolazione delle molecole responsabili dell’alterazione della neurogenesi, in particolare attraverso del sistema degli endocannabinoidi che, nella sua concezione più estesa, coinvolge anche un altro attore importante nell’eziologia dell’obesità, il microbiota intestinale”, conclude Vincenzo Di Marzo, coautore dello studio.


Ultima modifica il Martedì, 26 Ottobre 2021 07:08
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