Tutte queste funzioni, che sono indispensabili per la vita , mancano, quando la pelle è ustionata, così, se la lesione coinvolge un’ampia superficie del corpo, la disfunzione che ne deriva può condurre ad un esito mortale.
In realtà la pelle umana è trapiantabile attraverso un trapianto autologo cioè il paziente dona a se stesso la propria cute evitando così il rischio di rigetto.
La tecnica è quella di prendere piccoli lembi di pelle del paziente e farli crescere in provetta, per ottenere porzioni di pelle più estese che poi gli saranno trapiantate.
Di fatto la bioingegneria trova nell’ingegneria tissutale un ampio spazio di azione e di sviluppo, essa infatti non si rivolge al solo tessuto cutaneo ma anche ad altri tessuti come quello cartilagineo e osseo.
Tuttavia se per la cura delle piaghe da decubito, delle ulcere nei pazienti anziani o comunque allettati e dei diabetici è generalmente possibile aspettare le tre settimane circa che servono a far crescere i cheratociti cioè le cellule epidermiche, il fattore tempo diventa molto limitante per i pazienti che presentano ampie ustioni poiché in quest’arco temporale il malato rimane esposto a varie pericolose conseguenze.
Una primo effetto è la sofferenza renale, in quanto le sostanze tossiche delle aree ustionate sono eliminate attraverso i reni che così possono essere sovraccaricati di lavoro. Un’altra conseguenza è la consistente possibilità di contrarre delle infezioni, poiché viene a mancare la naturale barriera offerta dalla pelle e infine si ha un fenomeno di disidratazione: in caso di un’ ustione che vada dal 20% sino al 40% della superficie corporea, (oltre questo valore il tasso di mortalità è altissimo) la perdita dei liquidi assume valori significativi, misurabili in litri, per un uomo adulto di corporatura normale.
Attualmente si cerca di limitare queste eventuali conseguenze con bende artificiali o biotech di pelle bovina, che però possono dare rigetto o altre complicanze.
La scienziata francese ha trovato un escamotage per attivare la crescita della pelle in provetta. L’idea è stata quella di mettere insieme cellule staminali embrionali umane con sostanze farmacologiche e cellule nutrici che riescono a generare un processo di formazione della pelle simile a quello che avviene nel feto.
Per ora la “nuova” pelle è stata trapiantata con successo sui topi ed ha formato un tessuto cutaneo simile a quello umano.
Questo approccio, dicono i ricercatori, sarebbe in grado di fornire una possibilità senza limiti per sostituzioni temporanee di pelle nei pazienti con vaste ustioni, mentre aspettano l’autotrapianto. La pelle usa e getta potrebbe essere prodotta e “conservata” per poi usarla su chiunque ne avesse bisogno , come primo intervento e poi verrebbe gettata per lasciare spazio alla pelle dell’autotrapianto.
La ricerca è stata pubblicata su The Lancet che è una prestigiosa rivista medica pubblicata settimanalmente dal Lancet Publishing Group, fondata nel 1823. Il suo nome è identico a quello dello strumento medico per chirurghi (bisturi)
Fabiana Dessì