Mercoledì, 09 Maggio 2018
 
Scoperta una nuova malattia che provoca una grave forma di encefalopatia con deficit neurologici ed epilessia, a causarla e' una mutazione del gene ATP6V1A. E' l'eccezionale risultato dello studio scientifico pubblicato dalla prestigiosa rivista internazionale "Brain", realizzato dal team di ricercatori del Centro di Eccellenza di Neuroscienze dell'Ospedale pediatrico Meyer e dell'Universita' di Firenze, diretti dal professore Renzo Guerrini, insieme ai gruppi dell'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dell'Universita' di Genova diretti dai professori Fabio Benfenati e Anna Fassio, insieme a un network di Centri internazionali la cui collaborazione e' stata resa possibile in virtu' della presenza del pool fiorentino a capo del progetto europeo dal nome Desire (acronimo di "Development and Epilepsy - Strategies for Innovative Research to improve diagnosis, prevention and treatment in children with difficult to treat Epilepsy") per lo studio delle cause dell'epilessia infantile, che coinvolge 25 partner di 11 Paesi e oltre 250 ricercatori in 19 Centri interessati dalla ricerca clinica e di base. Lo studio e' partito dagli approfondimenti genetici con sequenziamento esomico del Dna, effettuati al Meyer per individuare una possibile causa genetica in una bambina di 9 anni che presentava quella che si pensava fosse una rara encefalopatia, associata ad epilessia e gravi deficit neurologici. Il sequenziamento esomico e' lo studio di tutte le regioni codificanti di ogni gene, dette esoni, del Dna umano, una procedura talvolta applicata anche in ambito diagnostico, ma limitatamente ai geni gia' noti per la loro associazione a patologia umana e che, in questo caso, e' stato possibile utilizzare per finalita' di ricerca collegate al progetto Desire estendendola anche ai geni per i quali non sono ancora note le conseguenze delle mutazioni.
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Lo studio è stato condotto dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Unità di oftalmologia dell’Ospedale Versilia

Un team di ricercatori ha individuato un nuovo metodo più efficace per somministrare i farmaci nel trattamento delle degenerazioni retiniche come la maculopatia. La novità arriva dal dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa dove Susi Burgalassi, Daniela Monti, Nadia Nicosia, Silvia Tampucci, Eleonora Terreni e Patrizia Chetoni hanno condotto uno studio sperimentale in collaborazione con Andrea Vento Direttore dell’Unità di oculistica dell’Ospedale Versilia di Viareggio. La ricerca finanziata con i fondi di Ateneo è stata appena pubblicato sulla rivista “Drug Delivery and Translational Research”, giornale ufficiale della Controlled Release Society.
Ad oggi per la cura delle degenerazioni retiniche viene principalmente utilizzato il Bevacizumab, un farmaco che blocca la genesi vascolare della malattia, e la sua somministrazione avviene mediante iniezioni intraoculari all’interno del corpo vitreo ripetute, generalmente, a cadenza mensile. 
“Queste ripetizioni aumentano il rischio e la gravità degli effetti collaterali che, in alcuni casi, possono essere anche molto seri – spiega Susi Burgalassi dell’Università di Pisa - del resto, la macromolecola del Bevacizumab non supera le barriere oculari in quantità terapeuticamente sufficienti se somministrato per via topica, cioè attraverso un semplice collirio”.
La soluzione sperimentata è stata quindi quella di mettere a punto un millimetrico impianto da inserire nell’occhio sotto la congiuntiva per il rilascio prolungato del farmaco, che si “dissolve” naturalmente una volta esaurito il suo compito. Si tratterebbe cioè di una “matrice” ottenuta mediante liofilizzazione e realizzata con un polimero che deriva dalla cellulosa.
“La possibilità di dosare il farmaco attraverso questo sistema, pur mantenendo un certo grado di invasività, porterebbe ad una diminuzione della frequenza di somministrazioni, con conseguente diminuzione dell’incidenza di effetti collaterali”, aggiunge Susi Burgalassi. 

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