Martedì, 18 Marzo 2025


Uno studio congiunto condotto da Sapienza Università di Roma, Università di Genova ed ENEA ha indagato sperimentalmente i meccanismi alla base della tossicità del minerale appartenente al gruppo delle zeoliti e relativamente diffuso sulla Terra. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul “Journal of Hazardous Materials”
L’erionite è una specie appartenente al gruppo delle zeoliti, minerali presenti principalmente in rocce vulcaniche e di ampio impiego in vari settori, dall’edilizia all’agricoltura. Sebbene le zeoliti, in generale, non siano dannose per l’uomo, l’erionite, al contrario, possiede un alto grado di tossicità per inalazione, centinaia di volte superiore a quella dell’amianto. A partire dalla metà degli anni Settanta, infatti, l’erionite è stata la causa di un’epidemia di mesotelioma pleurico maligno (MPM) in alcuni villaggi della Cappadocia, dove le abitazioni erano costruite con materiali contenenti questo minerale.

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Una ricerca dell’Istituto per la bioeconomia del Cnr ha dimostrato che l’utilizzo della cavitazione idrodinamica per la produzione di mosto di birra elimina definitivamente la necessità della bollitura, consentendo notevoli risparmi in termini di energia e di tempo. Lo studio, pubblicato sulla rivista Beverages, apre la strada a possibili applicazioni industriali per la realizzazione di questa bevanda con metodologie innovative
 
Uno studio condotto dall’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Ibe) ha portato alla produzione di mosto di birra pronto per la fermentazione senza passare per la fase di bollitura, conservando dello stesso tutte le caratteristiche chimiche e organolettiche. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Beverages.
 
“La cavitazione idrodinamica permette di scaldare il mosto a 94°C, diversamente da quanto avviene con le produzioni tradizionali, che prevedono una bollitura a 100°C per 90 minuti. Questo garantisce un abbattimento dei tempi e del consumo di energia di oltre l’80%. Oltre a ciò, la cavitazione elimina il precursore del dimetilsolfuro, un composto che restituisce odori e sapori sgradevoli alla bevanda, con una velocità tre volte maggiore rispetto a quanto ci saremmo inizialmente aspettati. Attraverso questo metodo, il dimetilsolfuro viene immediatamente espulso dal mosto della birra e alla fine del processo l’amaro di luppoli si trasferisce al mosto, modificandone il colore. Soltanto attraverso la cavitazione idrodinamica, che concentra un grande quantitativo di energia, è stato possibile ottenere questi risultati”, sottolinea Francesco Meneguzzo, primo ricercatore del Cnr-Ibe e coordinatore dello studio.
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