Il monitoraggio delle precipitazioni invernali e primaverili permette di prevedere stati di crisi estive e di indirizzare il trattamento più adatto delle coltivazioni della vite.
Interessanti risultati emergono dalle attività di ricerca del gruppo di idrogeologia dell’Università di Trieste nell’ambito del progetto interregionale Acquavitis dedicato allo sviluppo di soluzioni innovative per l’uso efficiente dell’acqua per combattere i cambiamenti climatici.
Il monitoraggio delle precipitazioni nel corso di tutto l’anno è strategico per determinare il dosaggio idrico delle coltivazioni vinicole, sia per andare incontro alle reali esigenze della pianta per un raccolto di qualità, sia per favorire un uso razionale dell’acqua. È questo, in sintesi, quanto è emerso dalle attività di ricerca del gruppo di idrogeologia dell’Università di Trieste coordinato da Luca Zini, docente del Dipartimento di Matematica e Geoscienze, nell’ambito del progetto interregionale Italia-Slovenia Acquavitis, finalizzato alla comprensione delle dinamiche di accumulo ed utilizzo di acqua nel vigneto per delineare nuove strategie di utilizzo razionale dell'acqua. I dati raccolti dalle attività di ricerca dei sei partner1 rappresentano ora un punto di riferimento strategico per l’avvio di nuovi protocolli di irrigazione finalizzati a fornire acqua alle viti solo quando e dove necessario e comunque nelle quantità minime a garantire qualità e quantità della produzione. Tutti i dati e le esperienze acquisite, sono stati resi disponibili su una piattaforma on-line (https://www.acquavitis.eu/) utilizzabile da agricoltori, studenti e ricercatori.
Il gruppo triestino si è occupato, in particolare, delle attività relative al monitoraggio e alla quantificazione delle risorse idriche sotterranee e ciò che emerso è il fatto che le precipitazioni invernali/primaverili – non solo quelle estive – sono molto importanti per la ricarica idrica dei terreni per la vite, perché vanno a ricaricare suolo e sottosuolo e rappresentano una risorsa che viene sfruttata nel corso dell’estate. Quindi in tutti quegli anni come quello in corso in cui anche in inverno c’è carenza di precipitazioni ci si trova in una situazione di estrema criticità durante il periodo estivo.
“L'estate appena passata – spiega Luca Zini, docente di idrogeologia all’Università di Trieste - è stata una delle più siccitose e con ripetute ondate di calore. Tutto ciò ha comportato un veloce esaurimento delle riserve idriche accumulate nel suolo mettendo in crisi tutti i vigneti. Questo ha comportato una riduzione nella produzione e contestualmente una diminuzione della qualità del prodotto in particolare in quei vigneti sprovvisti di impianto di irrigazione. In futuro, visti i cambiamenti climatici in atto, ci sarà sempre più bisogno d’acqua per mantenere gli standard di qualità, e il monitoraggio del regime delle precipitazioni invernali/primaverili può darci indicazioni sulla criticità dell’estate successiva e quindi permetterci già durante la primavera di programmare strategie differenti per andare incontro alle necessità delle coltivazioni”.
Durante l’estate 2020, all’avvio del progetto, il gruppo di idrogeologia dell’Ateneo triestino ha effettuato una serie di campionamenti per comprendere quali fossero le precipitazioni che ricaricano in modo significativo i terreni e che permettono alle viti di sopravvivere durante il periodo estivo. Una volta che l’acqua si infiltra nel suolo, infatti, mantiene la sua firma anche quando viene utilizzata delle piante e monitorando così le acque di precipitazione contestualmente a quelle presenti nei terreni e nella linfa xilematica proveniente dai tralci delle viti, è possibile stabilire quali acque stanno utilizzando le piante e quando queste si sono infiltrate nel terreno.
Queste attività di monitoraggio sono state effettuate in diversi contesti territoriali per testare come - in differenti condizioni geologiche e climatiche - andasse a modificarsi il bisogno di acqua per la vite. Il progetto ha coinvolto diverse aree transfrontaliere, una nella zona del Carso immediatamente dietro l’abitato di Trieste, un sito in Italia e un sito in Slovenia, un altro nella zona della valle del Vipacco e poi altri due siti in territorio friulano (Capriva e Precenicco).
Nel corso dell’estate 2020 – che è stata ricca di precipitazioni – sono stati raccolti e analizzati 276 campioni di suolo e il contenuto idrico nei vari siti e nelle diverse campagne si è dimostrato sempre piuttosto elevato e di conseguenza il potenziale idrico relativamente positivo, indicando una buona disponibilità d’acqua per le piante.
“L’estate 2022 - aggiunge Luca Zini, docente di idrogeologia all’Università di Trieste - ha evidenziato che la produzione può essere mantenuta anche con un certo livello di stress idrico nella vite. Minimi quantitativi d’acqua forniti al vigneto nei momenti giusti permettono di tenere alta la produzione e gli standard di qualità. Nel futuro ci dovrà perciò essere sempre più sinergia tra il mondo della ricerca, che sta sviluppando modelli che permettono di pianificare i quantitativi minimi di irrigazione indispensabili alle viti e le usuali pratiche agricole messe in atto dai viticoltori. In questo modo si verrà incontro all’ambiente risparmiando la risorsa idrica e alla produzione mantenendo vini di alta qualità”.
Per quanto riguarda le analisi granulometriche, i suoli analizzati sono risultati per la maggior parte limoso sabbiosi con la frazione sabbiosa generalmente inferiore al 20%, ad eccezione dei suoli provenienti dal sito di Potok-Stronc vicino a Dornberk (Valle del Vipacco). Qui si è registrata una componente ghiaiosa superiore al 50%, un fattore che sfavorisce l'accumulo idrico nel terreno in quanto l’acqua è trattenuta soprattutto dalle componenti più fini (come l’argilla).