Come gli umani, anche i pinguini cambiano "tono di voce" a seconda del contesto sociale

É stato pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B uno studio, realizzato dai ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, intitolato Vocal accommodation in penguins (Spheniscus demersus) as a result of social environment. La ricerca ha analizzato in che modo i pinguini africani (Spheniscus demersus) sono in grado di modificare le loro vocalizzazioni nel tempo e in funzione delle loro interazioni sociali. Una modulazione vocale paragonabile a quella del linguaggio umano e utile a comprenderne in maniera significativa la sua evoluzione.
Sono state studiate le caratteristiche acustiche delle vocalizzazioni di diverse colonie di pinguino africano, una specie filogeneticamente distante da tutte quelle che sono state precedentemente identificate come capaci di apprendimento vocale. In particolare, vengono messe a confronto le caratteristiche acustiche delle vocalizzazioni di diversi pinguini con vari gradi di interazione sociale: stessa colonia o colonia diversa; stessa colonia a distanza di tre anni; partner contro non partner.
Prevenzione e lotta agli incendi nelle oasi

Nessun luogo è al sicuro dagli effetti del cambiamento climatico, nemmeno le Oasi WWF. Oltre alle alluvioni sempre più frequenti, anche gli incendi rappresentano un rischio sempre maggiore anche in Italia, così come indicato dal report sugli scenari climatici italiani elaborato dal CMCC (Centro Euromediterraneo sui Cambiamenti Climatici). Un esempio recente è quello della la nostra Oasi calabrese del Lago di Angitola colpita dalle fiamme.
È qui che entrano in campo le azioni di prevenzione, ma anche alcuni strumenti tecnologici innovativi, che agiscono con sempre maggiore efficacia per la tutela della natura.
Scoperta l’arma segreta delle zanzare
I ricercatori svelano come le zanzare penetrano la pelle per arrivare ai vasi sanguigni. Si aprono interessanti prospettive per la lotta al fastidioso insetto.
Il tormento estivo delle punture di zanzare potrebbe ridursi presto. Questo l’auspicio dei risultati ottenuti nei laboratori di Paolo Gabrieli (Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano) e Federico Forneris (Dipartimento di Biologia e Biotecnologie, Università di Pavia), quest’ultimo rientrato dall’Olanda attraverso un finanziamento della Fondazione Armenise-Harvard. Si è scoperto infatti il meccanismo che consente alle zanzare di irrigidire il labbro (ossia il “pungiglione”) così da poter succhiare il sangue.
Leucemia linfoblastica acuta T: individuate le cellule potenzialmente responsabili delle recidive della malattia

Un nuovo studio, coordinato dal Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza e pubblicato sulla rivista Frontiers in Immunology, rivela uno dei possibili meccanismi coinvolti nella ricaduta di un tipo di leucemia linfoblastica dopo la chemioterapia. I risultati del lavoro aprono la strada allo sviluppo di terapie nuove e alternative
La leucemia linfoblastica acuta (LLA) di tipo T – una leucemia molto aggressiva e a rapida evoluzione che colpisce i linfociti T – viene trattata con la chemioterapia, che solitamente risulta efficace. Tuttavia, il 10% dei pazienti in età pediatrica e il 60% dei pazienti adulti vanno incontro a una progressione del tumore anche dopo la chemio.
Un nuovo studio, coordinato da Isabella Screpanti e Antonio Francesco Campese del Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza, ha individuato uno dei meccanismi coinvolti nella maggior parte dei casi di LLA di tipo T.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Frontiers in Immunology, è nata dalla collaborazione dei dipartimenti di Medicina molecolare e Medicina sperimentale della Sapienza con l’Istituto italiano di tecnologia ed è stata possibile anche grazie al contributo di Fondazione Airc.
I ricercatori hanno lavorato con topi da laboratorio geneticamente modificati per avere alterazioni della via di Notch – una via di segnalazione biochimica che regola i processi di proliferazione e differenziamento di diversi tipi di cellule, tra cui i linfociti T – che sono responsabili dello sviluppo di alcune forme di LLA-T.
KING COBRA - OPHIOPHAGUS HANNAH

Photo by Dr. Anand Titus and Geeta N Pereira - Author Michael Allen Smith from Seattle, USA
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:12_-_The_Mystical_King_Cobra_and_Coffee_Forests.jpg
King cobras are a very dangerous type of snake, and one that is extremely well known. They inhabit many places, including Northern India, East to Southern China, South Malay Peninsula, East to Western Indonesia, and finally the Philippines. They are very large, their average size being 10-12 ft (3-3.6 m), but in some cases they have been documented to grow up to 18 ft (5.4 m) in length. Their lifespan is 15 to 20 years in the wild as well as in captivity.
PHYSICAL ATTRIBUTES
The full grown king cobra has yellow, green, black, or brown colouration. Their yellowish patternings are across and under their body, as seen in the picture on the first page of this article. Snakelets, on the other hand, are completely jet-black; although they do have yellow patterning. Their eyesight is significantly better than the majority of snakes, being able to see a human being from 330 ft (100 m) away.
Svelati alcuni meccanismi inediti dell'invecchiamento

Come sopravvivere bene all’invecchiamento: pubblicati su Nature i risultati di uno studio che aprono nuove prospettive per vivere in forma la terza età.
Un'interessante scoperta sui meccanismi dell'invecchiamento è stata recentemente pubblicata sulla prestigiosa rivista «Nature» da un gruppo di ricercatori coordinato dal Prof. Stefano Piccolo, del Dipartimento di Medicina Molecolare dell'Università di Padova e dell’IFOM (Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare).
L'invecchiamento è un fenomeno naturale che si accompagna a un progressivo declino di varie funzioni dell'organismo. Per esempio, diminuisce la capacità di rinnovo cellulare, si accumulano danni a molteplici organi e decadono i processi cerebrali. Il tutto porta a una generale condizione di fragilità e a un aumentato rischio di insorgenza di malattie, tra cui il diabete e il cancro.
Ma quale è la causa di tutto questo? Perché invecchiamo?
Comunicazione cervello-ambiente. Il ruolo dei microrganismi intestinali

Un nuovo studio, coordinato dal Dipartimento di Fisiologia e farmacologia Vittorio Erspamer della Sapienza, ha individuato alcuni ceppi batterici che mediano gli effetti benefici di un ambiente arricchito sulla plasticità del sistema nervoso centrale
Negli ultimi anni è stato dimostrato che un ambiente arricchito dal punto di vista motorio, sensoriale e sociale può avere un effetto benefico sul sistema nervoso centrale, poiché ne favorisce la plasticità cerebrale e la funzione cognitiva.
Tuttavia, non era ancora stato indagato il possibile ruolo dei microrganismi intestinali nel mediare questi effetti benefici.
Ecco perché alcuni rettili e anfibi campano cent’anni

Tritone italiano. Credit Emiliano Mori
Uno studio internazionale a cui ha partecipato l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr ha scoperto una correlazione profonda tra l’ambiente e il processo di invecchiamento di alcune specie che possono allocare maggiori quantità di energia alla sopravvivenza piuttosto che alla protezione dell’organismo, allungando la propria aspettativa di vita. La ricerca è pubblicata su Science
Il processo di invecchiamento, in alcune specie di rettili e anfibi, può dipendere direttamente dalle condizioni ambientali in cui si trovano. È quanto emerge da due studi, pubblicati sulla rivista Science e condotti da team internazionali, a cui ha partecipato l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iret).
Nel primo lavoro, il gruppo di ricerca ha eseguito un’analisi comparativa dei tassi di invecchiamento e della durata della vita nei tetrapodi a sangue freddo, utilizzando i dati disponibili in letteratura su 77 specie e 107 popolazioni selvatiche di rettili e anfibi, tra cui tartarughe, serpenti e coccodrilli. In particolare, il Cnr-Iret ha studiato una popolazione di tritone crestato che vive sui Poggi di Prata, nelle colline metallifere del Grossetano.
“Le operazioni di monitoraggio hanno coperto un arco temporale di 19 anni in cui abbiamo cercato di capire in che modo la termoregolazione, la temperatura ambientale, il corredo genetico e il ritmo di vita contribuiscano all'invecchiamento degli animali”, spiega Emiliano Mori, ricercatore del Cnr-Iret. “Abbiamo così scoperto che le specie ectoterme, in cui la temperatura corporea dipende dall'ambiente esterno, mostrano una maggiore diversità di tassi di invecchiamento rispetto a quelle endoterme, la cui temperatura corporea è invece regolata dalla produzione di calore metabolico interno. Nelle prime la longevità media stimata varia da 1 a 137 anni, nei primati questo valore è compreso tra 4 e 84 anni”.
Un sensore bioriassorbibile sottopelle per monitorare i segnali del corpo

Il dispositivo è stato sviluppato da un team di ricercatori coordinato dal professor Barillaro del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa
Un sensore più sottile di un francobollo, biocompatibile e bioriassorbibile, e impiantabile sottopelle, riuscirà a monitorare in tempo reale alcuni parametri del corpo come il pH, e l’efficacia dei farmaci somministrati, aprendo così la strada a nuove procedure cliniche e diagnostiche.
Il risultato è pubblicato nella rivista Advanced Science, e reca la firma del team di ingegneri elettronici del Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Università di Pisa (DII), coordinati da Giuseppe Barillaro, in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia e Surflay Nanotec GmgH di Berlino.
Single brain scan can diagnose Alzheimer’s disease

A single MRI scan of the brain could be enough to diagnose Alzheimer’s disease, according to new research by Imperial College London.
The research uses machine learning technology to look at structural features within the brain, including in regions not previously associated with Alzheimer’s. The advantage of the technique is its simplicity and the fact that it can identify the disease at an early stage when it can be very difficult to diagnose.
Although there is no cure for Alzheimer’s disease, getting a diagnosis quickly at an early stage helps patients. It allows them to access help and support, get treatment to manage their symptoms and plan for the future. Being able to accurately identify patients at an early stage of the disease will also help researchers to understand the brain changes that trigger the disease, and support development and trials of new treatments.
The research is published in the Nature Portfolio Journal, Communications Medicine,andfunded through the National Institute for Health and Care Research (NIHR) Imperial Biomedical Research Centre.
Alzheimer’s disease is the most common form of dementia, affecting over half a million people in the UK. Although most people with Alzheimer’s disease develop it after the age of 65, people under this age can develop it too. The most frequent symptoms of dementia are memory loss and difficulties with thinking, problem solving and language.
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