Esempi in Beethoven e Schubert
Tra le morti dei musicisti della storia non possiamo ignorare quelle arrecate dalla malasanità del tempo, una circostanza purtroppo allora molto diffusa, prodotta in parte dalla scarsa conoscenza della scienza di quei tempi lontani, ed in parte, a volte, anche dall’imperizia dei medici.
Questo fu in verità il caso del grande Beethoven, il quale, oltre ad essere portatore di molte patologie (dalla sordità alla gastroenterite fino alla cirrosi, passando per attacchi d’asma, polmoniti, eritemi diffusi, poliartriti, costipazioni, coliche addominali, cefalee e prostrazioni), morì per un errore del suo medico, il dottor Andreas Wawruch, il quale avrebbe cercato di disinfettargli una ferita - causata anch’essa da una manovra imperfetta di drenaggio che avrebbe dovuto liberare i polmoni del musicista da un eccesso di liquido dovuto ad un’infezione - con un unguento a base di piombo e mercurio, un medicamento al tempo piuttosto usuale ma non certo salutare, visto che il metallo alla base del rimedio, pur mantenendo una sua peculiarità antibatterica, si rivelava velenoso per l’uomo, specie se somministrato in alte dosi. La pomata incriminata sarebbe quindi passata dai tessuti all’interno, allo stomaco e poi al fegato, il quale, già seriamente compromesso dalla cirrosi (provocata da un eccessivo consumo di alcolici), non avrebbe avuto la possibilità di difendersi, così da trasformare il presunto rimedio medico nella causa della fine del musicista.
A scoprire una tale verità è stato il patologo viennese Christian Reiter, il quale ha analizzato due capelli del musicista facenti parte di una ciocca prelevatagli da alcuni amici a mo’ di reliquia al momento della morte, un cimelio che, passando di mano in mano, di laboratorio in laboratorio ed anche di asta in asta (è così che il ricercatore ne è venuto in possesso nel 1989), ha praticamente fatto il giro del mondo svelando tante ed importanti informazioni sul suo celebrato possessore.
Un’altra sostanza usata al tempo per rimediare a malanni di vario genere (anche gravi) era il mercurio. Ne fu vittima il giovane Franz Schubert, il quale si ammalò di sifilide quando non aveva ancora trent’anni, che ne che assunse massicce dosi per cercare di attenuare i dolori che lo affliggevano.
Certamente una malattia come quella non aveva alcuna possibilità di guarigione, ma i medici gli prescrissero ugualmente una serie di cure assolutamente blande ed inutili (dieta a base di carne di pavone, bagni in acqua con l’aggiunta di un distillato di bulbi di narciso selvatico, pomate calmanti di malsicura composizione, addirittura dei “bagni animali”, ossia l’immersione delle parti doloranti nelle carni di animali macellati di recente, un sistema per prendersi una bella serie di infezioni e nient’altro), fino alla somministrazione del mercurio. Ma l’eccessivo uso da parte di Schubert di tale terapia non fece altro che peggiorare una situazione già estremamente grave, così che il musicista iniziò a soffrire di dolori alla testa, perdita di appetito, violenti sbalzi d’umore, allucinazioni, e di un forte tremore alle mani, tanto da non riuscire più a suonare il pianoforte e nemmeno a tenere un bicchiere in mano, fino a che morì alla giovane età di appena 31 anni.
Che dire? È vero che nei secoli passati le medicine tradizionali non esistevano, così che le soluzioni di cui sopra avevano lo scopo non certo di guarire ma solo di lenire le sofferenze del malato, ma è altrettanto vero che la maggior parte delle sostanze adoperate spesso peggioravano lo stato generale di salute dell’infermo di turno, il quale, se non moriva per il male dichiarato, si ritrovava spossato e con una serie di ulteriori disturbi impossibili da curare. Come dire che la medicina del tempo, se a volte riparava da un lato, certo sfasciava da un altro, incrementando così gli inevitabili decessi.
Marina Pinto