Il tracciamento digitale dei contatti per mezzo di un’app per smartphone, come l’italiana Immuni, è stato al centro di molte discussioni durante l’anno passato, sia per gli aspetti prettamente tecnologici che per le sfide legate alla partecipazione dei cittadini, alla protezione dei dati personali, e all’integrazione nei servizi di tutela della salute pubblica.
L’idea di tracciamento dei contatti non è nuova, ed è noto che il tracciamento dei contatti, tradizionalmente inteso, gioca un ruolo cruciale nella risposta all’epidemia. All’inizio della crisi COVID-19, uno studio pionieristico del Dr. Luca Ferretti, del Prof. Christophe Fraser e di altri ricercatori dell’Università di Oxford, pubblicato sulla rivista Science, ha indicato che il contenimento di focolai epidemici potrebbe beneficiare da un’app per smartphone che avvisi in modo tempestivo gli utenti che si sono trovati in prossimità ravvicinata di un individuo poi rivelatosi positivo. A un anno di distanza, nei paesi che hanno integrato efficientemente il tracciamento digitale dei contatti nella propria risposta sanitaria (come ad esempio Svizzera e Regno Unito) inizia ad accumularsi evidenza che queste app possono contribuire a mitigare l’impatto dell’epidemia. È perciò importante studiare in modo dettagliato il ruolo che il tracciamento digitale può giocare in combinazione con gli altri interventi non-farmaceutici per il contenimento di focolai ri-emergenti dell’epidemia.
Lo studio pubblicato su Nature Communications – i cui primi autori sono i ricercatori della Fondazione Bruno Kessler, Giulia Cencetti e Gabriele Santin dell’Unità di ricerca Mobile and Social Computing Lab (MobS Lab) guidata da Bruno Lepri – ha rilevato con una serie di simulazioni l’effetto del tracciamento digitale dei contatti e di diverse politiche di adozione ed integrazione del sistema con altri interventi. Piuttosto che fare assunzioni sulla struttura delle reti di contatto, lo studio ha usato dati reali di prossimità degli individui, raccolti da due progetti di scienza delle reti sociali: il primo progetto è il Copenaghen Network Study, guidato dal Prof. Sune Lehmann (DTU), che ha tracciato un grande gruppo di studenti volontari utilizzando smartphone; il secondo progetto si chiama SocioPatterns ed è guidato dal Prof. Ciro Cattuto della Fondazione ISI – Torino e dell’Università di Torino, e dal Prof. Alain Barrat del CNRS francese e dell’Università Aix-Marseille: in questo caso i contatti sono stati misurati usando sensori di prossimità indossati da volontari in diversi ambienti rilevanti per la trasmissione di malattie infettive, come ad esempio scuole, uffici, etc.
L’uso di dati reali di contatto è uno degli aspetti innovativi dello studio, che fornisce dei criteri quantitativi per valutare l’efficacia del contact tracing digitale in funzione di alcuni parametri critici, come il ritardo nell’isolamento degli individui allertati ed il livello di adozione dell’app nella popolazione. I risultati dello studio mostrano che le strategie di isolamento e il digital contact tracing via app possono aiutare il contenimento di focolai riemergenti se alcune condizioni sono soddisfatte, in particolare se la propagazione è complementata da altri interventi come l’uso di mascherine e il distanziamento fisico, se l’adozione dell’app è alta, e se il ritardo nell’isolamento dei contatti è minimo. Lo studio mostra inoltre che il tracciamento dei contatti di secondo ordine (i contatti dei contatti, più intrusivo in termini di privacy) non è efficace, e conferma che il meccanismo di exposure notification in uso nella maggior parte delle app nazionali, che si limita ai contatti del primo ordine e minimizza i dati raccolti, è adeguato per conseguire i benefici del contact tracing digitale.