Il dibattito sull'evoluzione: la posta in gioco

La storia dell'antagonismo, in America, tra evoluzionisti e anti-evoluzionisti ha conosciuto a luglio 2008 un nuovo "successo" di questi ultimi. Il governatore repubblicano della Louisiana, il giovane Piyush Jindal (che, si mormora, potrebbe essere arruolato da John McCain quale candidato vicepresidente nella corsa per la Casa Bianca), ha emanato una legge che conferisce ai docenti delle scuole di quello Stato la "libertà" di insegnare una serie di questioni, tra le quali l'evoluzionismo e l'origine della vita, avvicinando alle versioni scientifiche tradizionali le posizioni critiche da loro ritenute più valide. Si riaprono così di fatto le porte all'ingresso dell'irrazionalismo creazionista, che camuffatosi da dottrina a-religiosa (Intelligent Design, ID) ambisce, come sempre, a trovar posto accanto alla teoria scientifica al solo scopo di dichiararne l'insufficienza, nella (vana) speranza di vederla abbattersi al suolo.

Nei commenti a favore o contro la delibera di Jindal, tempestivamente circolati tra gli organi di informazione e nel web, si è tornati ad assistere al solito gioco delle parti. I biologi, gli scienziati, gli accademici di vario grado e gli esponenti del pensiero moderno hanno ancora una volta gridato allo scandalo: sotto mentite spoglie, con un ingannevole giro di parole, si starebbe violando il "sacro" (!) principio della separazione tra Stato e Chiesa, cioè tra cultura pubblica, da propagare nelle scuole, e convinzioni religiose, attinenti alla sola sfera del privato. Le direttive approvate in Louisiana – hanno asserito – concederebbero all'astioso antievoluzionismo del Disegno Intelligente una dignità non inferiore a quella dell'evoluzionismo darwiniano. Ma essendo il primo solo una manifestazione di istanze religiose, e il secondo un frutto della scienza razionale, il risultato è che si starebbero avvicinando due posizioni di natura diversa, creando confusione e disorientamento nelle menti degli studenti, e più in generale dell'opinione pubblica.

A ciò controbattono i sostenitori dell'ID che la loro è una corrente di pensiero assolutamente laica e scientifica, esente dal ricorso al soprannaturale e alla divinità. L'avversione viscerale mostrata nei loro confronti dagli evoluzionisti non sarebbe che il segno di una gretta chiusura mentale, il tentativo di nascondere dietro un'inviolabile barriera di dogmi le incongruenze, gli errori, i limiti e le falsità racchiuse nell'attuale teoria dell'evoluzione biologica.

Pochi giorni dopo l'innovazione della Louisiana, ad Altenberg, in Austria, un eterogeneo gruppo di insoddisfatti biologi, filosofi, matematici e teorici di varia competenza, tutti provenienti dalla cultura "ortodossa", si è riunito per sancire definitivamente l'inadeguatezza delle formulazioni darwiniane a spiegare le complessità del mondo dei viventi, le dinamiche stesse della vita e i fattori che determinano la forma e lo sviluppo degli organismi. Impresa non troppo difficile, in verità, stante che la teoria darwiniana di stretta osservanza risale a un'epoca che si potrebbe quasi definire pre-scientifica; e impresa agevolata oltretutto dal fatto che è davvero arduo trovare, tra gli esperti, chi sia ancora legato alla "lettera" dell'opera di Darwin e ne faccia oggi un vangelo per la conoscenza della natura. Come che sia, i propositi degli autoconvocati di Altenberg sono stati salutati con estremo favore e giubilo da chi si batte contro l'ortodossia evoluzionista; e visti con sospetto, criticati e – potendolo – perfino condannati preventivamente dai più fieri campioni dell'evoluzionismo.

Non vale la pena, qui, tornare a dibattere nel merito di queste vicende. Che l'evoluzione biologica sia un fatto, è sotto gli occhi di tutti e innegabile da chiunque sia dotato di senno e di una conoscenza sia pure elementare del mondo. Che per l'evoluzione operino dinamiche e processi fisico-biologici esclusivamente naturali e in gran parte già delucidati, pare altrettanto certo e fuor di discussione. Si può, anzi è conveniente farlo, lavorare sui dettagli dei modelli e cercare di perfezionare il quadro teorico: e questo è ciò di cui si occupano teorici e ricercatori sul campo, che apportano senza soste nuovi dati, con l'effetto di corroborare e consolidare efficacemente l'edificio dell'evoluzione. Mentre nulla di utile per demolire il vecchio presupposto darwiniano riescono a presentare i sostenitori del creazionismo o del più moderno ID, che in oltre 6 decenni di frenetica battaglia di opposizione non hanno fornito alla comunità scientifica un solo risultato di ricerca, una striminzita elaborazione matematica, una prova di un qualunque tipo in grado di far scricchiolare l'edificio avversario, o quanto meno fornire materia di riflessione e di nuove indagini.

Con un quadro del genere non ci sarebbe molto altro da aggiungere, e si potrebbe pensare di lasciare tranquillamente ogni diatriba ai sostenitori e agli oppositori del pensiero religioso... se non emergesse, da questo scenario, un dato davvero sconcertante. Il dato cioè dell'estrema emotività, della rabbia, dell'astio, del malcelato dispetto, con cui sia gli evoluzionisti più o meno ortodossi, sia i difensori dell'ID attaccano (anche personalmente) gli avversari e le rispettive convinzioni. È difficile assistere a un confronto sereno tra posizioni diverse e sono anni che la regola è diventata lo scontro violento, un linguaggio che implica offesa, l'incapacità di ascoltare, il desiderio evidente (anzi più: l'aspirazione incontenibile) che l'altro taccia, e taccia per sempre.

Una domanda – come suol dirsi – nasce qui spontanea: perché? perché tanta emotività? tanta passione? tanto sentimento? Come mai un problema intellettuale, un mero dettaglio di una teoria scientifica, suscita tante reazioni? Le controversie sul modello cosmologico del Big Bang o sul red-shift non affascinano e coinvolgono alla stessa maniera. Il dibattito sulla fondatezza dell'ultimo teorema di Fermat è sempre stato animato e visto con sereno divertimento. Perfino le grandi imprese della biochimica, dalle pesanti implicazioni pratiche ed etiche come il Progetto Genoma o l'identificazione dei fattori responsabili della malattia di Alzheimer, paiono suscitare scarsissima emozione. Che cosa si cela, invece dietro la questione dell'evoluzionismo, per meritare una tale effusione di irrazionalità?

La prima cosa da notare è che tanta passione è vissuta e manifestata solo da una ristretta élite di "esponenti di punta" del pensiero scientifico e antiscientifico. La gran massa dell'umanità – bisogna ammetterlo – nasce, convive e muore del tutto ignara e indifferente a queste cose. Andate per strada a chiedere a un impiegato o a una casalinga, a un cantante o a un ingegnere che costruisce strade, al conducente d'autobus che vi porta in stazione o al barman che vi serve una bevanda fresca, quanto gli importi della selezione naturale o se ritiene corretto postulare un "progetto superiore" nella formazione evolutiva di un organo di senso. Nella migliore delle ipotesi si farà una risata di tutto ciò; più spesso vi guarderà senza capire: senza capire se parlate sul serio o state cercando di prenderlo/a in giro. E a ragione: che Darwin abbia avuto ragione o sia stato un fiacco visionario, che i lemuri discendano dai rospi o siano comparsi sulla Terra assieme a loro, non cambierebbe di un millimetro i loro comportamenti quotidiani, i loro sentimenti e le idee politiche, l'adesione o la svogliatezza con cui vivono il lavoro e la famiglia.

Gli intellettuali, invece, amano riservarsi i toni accesi e i contrasti irriducibili, ben decisi a non lasciare spazio all'evidenza delle prove, alla forza della razionalità, alla compiutezza del disegno scientifico. Il che sembra tanto più strano, in quanto tutti costoro dovrebbero essere l'incarnazione vivente della supremazia della razionalità, cioè l'esatto contrario della passione e dell'ira. La scienza e la cultura sono imprese oggettive e generali, non personali e non individuali. I dibattiti dovrebbero svolgersi "in punta di fioretto" e lasciare ognuna delle parti a confrontarsi con la logica ferrea della dimostrazione scientifica e della constatazione di oggettività. Invece, se ci si addentra nei due "campi" contrapposti, si coglie tutt'altro.

I sostenitori dell'ID manifestano in genere acredine e ansia. Sono alla continua ricerca di conferme, e hanno l'insoddisfazione tipica di chi vede spostarsi sempre più avanti il traguardo da tagliare. Psicologicamente, si comportano con una certa estraneità al (e incomprensione del) gioco intellettuale della scienza; rifiutano di pensare per sistemi; sembrano incapaci di attenersi a un'argomentazione senza ricorrere a retro-pensieri ogni volta che si trovano al cospetto di un'obiezione. Con soddisfazione maligna salutano ogni (vera o presunta) defaillance in qualche branca delle discipline biologiche, dando segno con ciò di non essere in grado di cogliere le proprie contraddizioni (un passo falso delle posizioni avversarie non convalida, per ciò stesso, le proprie). Voltate le spalle alla cultura convenzionale, si sentono investiti della missione di proclamare verità che, secondo loro, "gli altri" tenderebbero a sopprimere e avvertono l'importanza storica di non tradire il loro ruolo. Poiché non ricevono mai, per questo, riconoscimenti dalla parte avversa, né riescono a veder convalidate le loro proposte, non trovano altra possibilità che alzare continuamente i toni e inasprire le critiche, nella convinzione che le parole possano imporsi là dove non riescono a farlo le "argomentazioni".

Dall'altra parte, gli esponenti del pensiero evoluzionista "ortodosso" non nascondono la loro irritazione a ogni manifestazione di critica. A prima vista sembrano, così facendo, anch'essi insicuri delle proprie convinzioni, quasi temessero di doverle modificare: e forse c'è, dietro questo atteggiamento, anche l'incapacità di capire come mai una cosa tanto evidente come l'evoluzione biologica (di derivazione darwiniana) non risulti altrettanto convincente agli occhi altrui come lo è ai propri.

Ma un'altra ragione sembra agitarsi, più irrequieta, nei fastidi e negli anatemi espressi dagli evoluzionisti: la percezione della vera posta in gioco che soggiace a questo dibattito. Concedere, capire, assumere, scoprire [ognuno usi il vocabolo che preferisce] che tra animali e uomo vi sia un'ininterrotta continuità è fondamentale per mantenere e sviluppare numerose attività e "industrie" sulle quali si basa il mondo moderno, la nostra vita quotidiana. Prendiamo la medicina. Ogni giorno in tutto il mondo vengono consumate tonnellate di farmaci: che tali sono, soltanto perché sono stati sperimentati, collaudati, analizzati sull'animale, nella certezza che i risultati così conseguiti fossero in larga misura trasferibili all'essere umano. E trasferibili lo sono, a patto che da un animale all'altro, e dall'animale all'uomo non vi siano soluzioni di continuità, cioè salti, interruzioni, creazioni separate.

Prendiamo l'industria alimentare, o quella cosmetica. Anche qui i concetti di innocuità (o sicurezza), tossicità, efficacia e così via, sono validi solo a patto che l'uomo abbia una stretta continuità con l'animale, sia ad esso imparentato, e "funzioni" come quello (o come alcuni di quelli). Se una simile continuità non ci fosse, a che varrebbe tentare le prove di contaminazione e di attività chimica sui test di laboratorio (cellule e colture) e su animali? Per avere dei dati validi, le si dovrebbe fare ex abrupto direttamente sugli uomini, evitando ogni sperimentazione preliminare. Ma questo, oltre a essere palesemente pericoloso e irragionevole (dopotutto, non mangiamo innocuamente i tessuti biologici animali e vegetali perché siamo compatibili?), si rivelerebbe un modo per riportare la convivenza civile a epoche pre-scientifiche, abolendo d'un colpo secoli di faticoso progresso.

Spingendosi un po' più avanti, si potrebbe perfino arrivare a sostenere che il tentativo di preservare il mondo dall'inquinamento e dalla degradazione, di evitare l'estinzione di alcune specie animali, di tentare le terapie geniche e biochimiche verrebbe a perdere senso, qualora l'evoluzione biologica non fosse vera. O meglio, qualora i "decisori" – cioè i politici, gli amministratori e i responsabili della ricerca, dell'industria, della sanità – ritenessero che l'evoluzione non è né un fatto né una teoria (come ha improvvidamente affermato una passata ministra della Repubblica italiana: che chiaramente non aveva nessuna conoscenza di quel che diceva).

Che lo sappiano consapevolmente, o lo avvertano solo "per istinto", coloro che difendono le ragioni dell'evoluzione biologica dagli attacchi dell'irrazionalismo stanno in realtà difendendo alcuni importanti processi e dinamiche del mondo moderno. Stanno contrastando l'erosione del progresso conseguito da parte di istanze irrazionalistiche, che vorrebbero la società governata soprattutto da "ideologie" e "rivelazioni". Normale, quindi, che non reprimano nervosismo e fastidio alle pretese degli antievoluzionisti e dell'ID; che eccedano talvolta nei toni e finiscano per cadere anche loro nella tentazione delle affermazioni e delle condanne apodittiche. Se avessero più pazienza, vedrebbero le evidenze scientifiche sull'evoluzione imporsi anche senza tanti contrasti, proprio come è successo con le altre teorie della scienza, oggi felicemente residenti nel bagaglio delle conoscenze comuni. È il destino storico di ogni conoscenza scientifica... checché dicano di desiderare gli ultimi epigoni di un antievoluzionismo pre-scientifico.

 

Massimo Biondi 

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Settembre 2009 10:26
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