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Lo studio di un’onda di tempesta alta 28 m sulle coste europee a cui ha partecipato l’Istituto di scienze marine del Cnr di Venezia, pubblicato su Scientific Reports, dimostra come possano generarsi onde alte fino a 2 o 3 volte l’altezza significativa. Un’informazione cruciale per i naviganti e le piattaforme petrolifere. La pericolosità di questi eventi concerne le onde oceaniche, ma anche quelle ‘nostrane’


Per i naviganti, ed in tempi più recenti per le piattaforme petrolifere, la domanda chiave è “quanto alte possono essere le onde di tempesta?”. Negli anni, l’esperienza diretta e le sempre più numerose misure, sia da satellite che da boe oceanografiche, hanno spinto i valori possibili delle altezze d’onda sempre più in alto. Durante la tempesta del gennaio 2014 nel Nord Atlantico si è stimato (dati del modello del Centro Meteorologico Europeo per le Previsioni a Medio Termine, ECMWF, a Reading, Regno Unito) che l’“altezza significativa”, cioè la misura dell’energia della mareggiata, abbia sfiorato i 20 metri. Questo significa però che si sono verificate certamente singole onde superiori a 35 m. L’analisi seguita all’evento, a cui hanno partecipato Alvise Benetazzo e Luigi Cavaleri dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismar) di Venezia, pubblicata su Scientific Reports col titolo “Observation of a giant wave-packet on the surface of the ocean”, ha dimostrato che è possibile prevedere in anticipo questi “eventi anomali”, ma solo in senso probabilistico.

Pubblicato in Ambiente

 

La ricerca coinvolge il Dipartimento di Ingegneria civile e industriale dell’Università di Pisa


In una vasca dell’Acquario di Livorno è stata installata una rete costituita da una bioplastica in grado di degradarsi in acqua salata, che verrà usata per realizzare impianti di riforestazione della Posidonia oceanica, una pianta essenziale per l’ossigenazione dell’ecosistema marino. Il risultato deriva da una collaborazione tra A.S.A. SpA (Azienda Servizi Ambientali SpA), il Dipartimento di Ingegneria civile e industriale dell’Università di Pisa (DICI), Francesco Cinelli, già docente di Ecologia Marina e Scienza Subacquea all’Università di Pisa, BioISPRA, l’Acquario di Livorno e l’azienda tessile Coatyarn Srl.

“I supporti proposti per la riforestazione dei fondali - spiega Maurizia Seggiani, docente di Fondamenti chimici delle tecnologie al DICI - hanno un grande impatto ambientale, perché costituiti da reti di ferro rivestite con monofilamenti di polipropilene che causano la dispersione in mare di microplastiche e la morte delle specie marine che vi rimangono intrappolate. Il nostro gruppo di ricerca ha individuato e testato una bioplastica, il PBSA (polibutilene succinato-co-adipato), usato in diverse applicazioni in sostituzione di plastiche tradizionali ma mai fino ad ora per applicazioni di restauro marino. Dal PBSA è stata ricavata una rete con proprietà meccaniche adeguate a contenere le talee di piccole piante di Posidonia, e in grado di biodegradarsi in un paio d’anni, il tempo necessario alla pianta per mettere radici”.

Pubblicato in Ambiente

 

Presso la Breast Unit del Policlinico Tor Vergata è stato effettuato con successo il primo trapianto microchirurgico autologo (realizzato con i tessuti della paziente) per la ricostruzione del seno di una donna di 59 anni affetta da pregressa neoplasia della mammella. L’intervento, eseguito dal Prof. Benedetto Longo, con il coordinamento del Prof. Valerio Cervelli, direttore della Cattedra di Chirurgia Plastica, e del Prof. Oreste Buonomo, direttore della Breast Unit, ha consentito di ricostruire il seno di una paziente precedentemente sottoposta a mastectomia utilizzando i tessuti dell’addome (lembo DIEP). La muscolatura della parete addominale è stata completamente preservata, e i tessuti sono stati trapiantati in sede mammaria e rivascolarizzati con i vasi ascellari, restituendo alla paziente un seno con forma e volume molto naturali grazie all’impiego dei suoi stessi tessuti.

Pubblicato in Medicina

 

Ipotetici feromoni identificati nei primati ed albero filogenetico di questi organismi

 

Nei primati l’uso di feromoni sessuali è oggetto di discussione. Nell’uomo mancano gli elementi anatomici e biochimici coinvolti in tale funzione. In particolare, non è presente una proteina dedicata al trasporto di feromoni in altre specie, a causa di una mutazione evolutiva già presente nel Neanderthal. Una collaborazione fra l’AIT di Tulln (Austria) ed il Cnr-Ispaam ha però ricostruito tale proteina mancante, individuando in sostanze con odore muschiato alcuni potenziali feromoni nei primati. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Molecular Biology and Evolution.

La comunicazione tra membri della stessa specie mediata dai feromoni, sostanze chimiche secrete da ghiandole specializzate, è molto diffusa tra gli organismi viventi, ma nelle scimmie antropomorfe e nell'uomo non vi è attualmente una sufficiente evidenza di tale fenomeno. Tra i primati, in particolare, i lemuri usano i feromoni per comunicare all'interno della specie, mentre tale capacità sembra essere persa in alcuni tipi di scimmie. La comunicazione feromonale nell'uomo sarebbe impedita dalla mancanza di strutture anatomiche dedicate e/o dal malfunzionamento di relazionati meccanismi molecolari. Sono infatti assenti l'organo vomeronasale, deputato in molti animali alla percezione dei feromoni, i relativi recettori, ed anche proteine trasportatrici di tali molecole, note come SAL o MUP, già identificate in mammiferi quali maiale e topo, dove la comunicazione sessuale attraverso segnali chimici è stata ampiamente dimostrata. Al fine di chiarire quale sarebbe potuto essere un ipotetico feromone in alcuni primati e nell'uomo, Giovanni Renzone, Simona Arena ed Andrea Scaloni dell’Istituto per il Sistema Produzione Animale in Ambiente Mediterraneo del Cnr di Portici hanno collaborato con Valeriia Zaremska, Isabella Fischer, Paolo Pelosi e Wolfgang Knoll dell'Austrian Institute of Technology di Tulln. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Molecular Biology and Evolution.

Pubblicato in Scienza generale

 

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nanotec) delle sedi di Lecce e Bari con i colleghi dell’Università di Bari, ha affrontato criticamente il problema della stabilità chimica nel tempo degli inchiostri a base di perovskite proponendo indicazioni per ricerche future, inclusa un'indagine sugli strumenti diagnostici più efficaci utilizzati finora per indagare su tali inchiostri. Il lavoro è contenuto in una Perspective pubblicata su Chem.

Pubblicato in Tecnologia

 

Maratona di 22 ore con diverse équipe chirurgiche per l’intervento salvavita avvenuto ad ottobre. Il ragazzo ammalato di fibrosi cistica è tornato a casa per Natale. La mamma: “I miracoli esistono”.

A Napoli la sua famiglia lo ha festeggiato con i fuochi d’artificio: è tornato a casa per Natale il ragazzo sedicenne ammalato di fibrosi cistica, che nello scorso ottobre è stato sottoposto nell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, a un doppio trapianto di fegato e polmoni. L’adolescente era affetto da Fibrosi cistica, una malattia genetica che colpisce i polmoni e meno frequentemente, come è invece accaduto a lui, altri organi come il fegato e il pancreas. Quando la malattia si aggrava, il trapianto di uno o più organi coinvolti è l'unica cura possibile. Seguito presso il Centro Fibrosi Cistica di Napoli dal 2016, a causa del progressivo peggioramento delle sue condizioni, è stato preso in carico dal Centro Fibrosi Cistica del Bambino Gesù in vista di un programma di trapianto. Poiché la malattia aveva provocato una grave insufficienza respiratoria e danneggiato gravemente anche il fegato, il ragazzo è stato inserito lo scorso marzo nella lista di attesa per un trapianto combinato di polmoni e fegato.


Una delle principali complessità di questo tipo di intervento è la scarsa disponibilità di donatori che abbiano caratteristiche immunologiche e dimensionali degli organi tali da permettere il prelievo contemporaneo di polmoni e fegato. L'attesa del trapianto per il sedicenne in cura al Bambino Gesù è stata pertanto lunga, con un progressivo peggioramento delle sue condizioni respiratorie che hanno portato, alla fine di settembre, ad un ricovero urgente in terapia intensiva, con necessità di intubazione e ventilazione meccanica.


IL DOPPIO TRAPIANTO
Le condizioni del ragazzo erano davvero critiche quando si è reso disponibile un donatore idoneo al prelievo dei polmoni e del fegato. Grazie all’efficace sistema del Centro Nazionale Trapianti e dei Coordinamenti Regionali che gestiscono la rete italiana per i trapianti, due équipe del Bambino Gesù hanno potuto recarsi tempestivamente nell'ospedale del donatore per prelevare gli organi. Intanto nell’Ospedale della Santa Sede, nella sala operatoria della Cardiochirurgia, è iniziato l'intervento di trapianto: sono stati rimossi i polmoni malati, il paziente è stato messo in circolazione extracorporea – grazie alla macchina cuore-polmoni che ne sostituisce temporaneamente le funzioni - e sono stati impiantati i nuovi polmoni arrivati nel frattempo a Roma. Ripresa la funzione dei polmoni e del cuore, è stata interrotta la circolazione extracorporea e realizzato il trapianto del fegato.

Pubblicato in Medicina

 

Un gruppo di ricercatori della Sapienza Università di Roma, in collaborazione con l’Istituto italiano di tecnologia (IIT), ha scoperto come l’interazione tra due specifiche molecole di RNA favorisca in laboratorio la crescita di cellule di rabdomiosarcoma, uno dei tumori maligni più ricorrenti in età pediatrica. I risultati dello studio sostenuto da Fondazione AIRC sono stati pubblicati sulla rivista Molecular Cell e aprono nuove strade al trattamento di tumori maligni infantili.

L’interesse della scienza per gli RNA circolari (circRNA) è in crescita per le caratteristiche peculiari di questa classe emergente di molecole e per il loro ruolo in diverse condizioni patologiche tra cui il cancro.  In uno studio del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza Università di Roma e dell’Istituto italiano di tecnologia (IIT), i ricercatori hanno individuato un inedito meccanismo molecolare alla base della regolazione dell’espressione di diverse proteine. Si tratta dell’interazione tra molecole di RNA (in particolare tra un RNA circolare, circZNF609, e alcuni RNA messaggeri). In esperimenti di laboratorio i ricercatori hanno scoperto che, in un caso specifico, l’interazione con l’mRNA che contiene le istruzioni per la proteina CKAP5, a sua volta coinvolta nel controllo della duplicazione cellulare, regola la capacità proliferativa delle cellule di rabdomiosarcoma, un tumore maligno pediatrico.

Pubblicato in Medicina


Su Nature Communications lo studio nato dalla collaborazione delle Università di Pisa e di Ginevra

 

Se c’è troppo sole le piante si proteggono grazie a speciali proteine che agiscono come “interruttori” per accendere e spegnere specifiche interazioni tra molecole. La caratterizzazione di questo meccanismo che consente alle piante di sopravvivere a diverse condizioni di luce arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e nato dalla collaborazione delle Università di Pisa e di Ginevra.

“Capire le strategie con le quali le piante riescono a proteggersi dall’eccessiva luce è importante per la nostra comprensione del mondo che ci circonda, ma non è solo questo e infatti comprendere le loro strategie di adattamento è estremamente importante per riuscire ad aumentare la produttività delle colture”, spiega la professoressa Benedetta Mennucci dell’Università di Pisa, che assieme al professor Francesco Luigi Gervasio dell’Università di Ginevra ha coordinato lo studio.

“La proteina che abbiamo studiato è presente nel fotosistema della piante ed ha il compito di raccogliere la luce solare e trasferire l’energia assorbita ad altre proteine, che portano avanti il processo fotosintetico”, racconta Edoardo Cignoni, dottorando dell’Università di Pisa, “per far questo contiene degli aggregati di molecole, clorofille e carotenoidi, che sono i principali protagonisti nella cattura della luce. Le nostre simulazioni di dinamica molecolare insieme ai calcoli quantomeccanici hanno mostrato come i moti della proteina riescono a controllare i processi fotoprotettivi, accendendo e spegnendo specifiche interazioni tra le molecole”.

Pubblicato in Ambiente
Lunedì, 27 Dicembre 2021 15:33

SARDEGNA: REGALO DALLA CORTE COSTITUZIONALE

 

La Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la legge della Regione Sardegna sulla “interpretazione autentica del Piano Paesaggistico Regionale” (Sentenza 23 dicembre 2021, n. 257). Per l’ennesima volta il giudice delle leggi boccia un’iniziativa della giunta regionale sarda che, con l’alibi dell’autonomia, continua a proporre modelli di sviluppo obsoleti basati solamente su cemento e deroghe ai principi costituzionali di tutela del paesaggio e dell’ambiente. La norma cancellata, su ricorso del Governo nazionale (art. 1 della legge della Regione Sardegna 13 luglio 2020, n. 21 “Norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale”), allargava in maniera indiscriminata e illegittima le maglie dei vincoli urbanistici e paesaggistici, consentendo edificazioni a pioggia e incrementi volumetrici indiscriminati, minacciando il territorio regionale, la natura della Sardegna e le prospettive di un vero sviluppo e turismo sostenibili.

Pubblicato in Ambiente

 

An international scientific group with outstanding Valencian participation has managed to measure for the first time oscillations in the brightness of a neutron star –magnetar– during its most violent moments. In just a tenth of a second, the magnetar released energy equivalent to that produced by the Sun in 100,000 years. The observation has been carried out automatically, without human intervention, thanks to the Artificial Intelligence of a system developed at the Image Processing Laboratory (IPL) of the University of Valencia.

Among the neutron stars, objects that can contain half a million times the mass of the Earth in a diameter of about twenty kilometres, stands out a small group with the most intense magnetic field known: magnetars. These objects, of which only thirty are known, suffer violent eruptions that are still little known due to their unexpected nature and their duration of barely tenths of a second. Detecting them is a challenge for science and technology.

An international scientific team with outstanding participation from the University of Valencia has published recently in the journal Nature the study of the eruption of a magnetar in detail: they have managed to measure oscillations – pulses – in the brightness of the magnetar during its most violent moments. These episodes are a crucial component in understanding giant magnetar eruptions. It is a question long debated during the past 20 years that today has an answer, if there are high frequency oscillations in the magnetars.

The work has the contribution of six researchers from the University of Valencia and a high Spanish participation – 15 scientists out of a total of 41. “Even in an inactive state, magnetars can be one hundred thousand times more luminous than our Sun, but in the case of the flash that we have studied – the GRB2001415 – the energy that was released is equivalent to that which our Sun radiates in one hundred thousand years”, points out lead researcher Alberto J. Castro-Tirado, from the IAA-CSIC.

“The explosion of the magnetar, which lasted approximately a tenth of a second, was discovered on April 15, 2020 in the midst of the pandemic”, says Víctor Reglero, professor of Astronomy and Astrophysics at the UV, researcher at the Image Processing Laboratory (IPL), co-author of the article and one of the architects of ASIM, the instrument aboard the International Space Station that detected the eruption. “Since then we have developed very intense data analysis work, since it was a 10 ** 16 Gauss neutron star and located in another galaxy. A true cosmic monster!”, Remarks Reglero.

The scientific community thinks that eruptions in magnetars may be due to instabilities in their magnetosphere or to a kind of “earthquakes” produced in their crust, a rigid and elastic layer about a kilometre thick. “Regardless of the trigger, a type of waves is created in the star’s magnetosphere –the Alfvén– which are well known in the Sun and which interact with each other, dissipating energy”, explains Alberto J. Castro-Tirado.

Pubblicato in Scienceonline

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