“I dispositivi termoelettrici – spiega Giovanni Pennelli, docente di elettronica al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e coordinatore del Laboratorio di Nanotecnologie - servono per convertire il calore in energia elettrica in modo affidabile e durevole. Tuttavia, quelli in uso fino ad ora hanno costi elevatissimi, che derivano soprattutto dal materiale usato per costruirli, che è il tellurio, un minerale rarissimo e molto tossico. Nonostante le potenzialità quindi, hanno avuto fino ad ora un campo di impiego estremamente limitato. Pensiamo però a quello che cambierebbe nel sistema mondiale di produzione dell’energia con un dispositivo termoelettrico più efficiente e a costo più basso”.
Lo studio del gruppo di Pisa e Milano ha stabilito che questa possibilità esiste utilizzando al posto del tellurio delle nanostrutture in silicio, un materiale abbondante sulla Terra, bio-compatibile e molto economico da processare. I dispositivi termoelettrici in silicio possono essere prodotti su grande scala e in maniera economica con le stesse tecnologie usate per i circuiti elettronici, consentendo il recupero di energia elettrica da qualsiasi fonte di calore, come le ciminiere delle fabbriche, oppure l’energia geotermica, rilasciata dal calore naturale del Pianeta. Quest’ultima, è una fonte fino ad ora scarsamente utilizzata (ad oggi rappresenta solo l’1% della produzione mondiale di energia), ma con un potenziale enorme: secondo uno studio del MIT, con il solo geotermico, sfruttato appieno, si potrebbe soddisfare il fabbisogno energetico planetario con sola energia pulita per i prossimi 4000 anni.
“Una tipica applicazione che abbiamo in mente – commenta Elisabetta Dimaggio, ricercatrice del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione – è l’industria 4.0, su cui il nostro dipartimento ha attivi diversi progetti di ricerca e laboratori. I dispositivi al silicio possono essere integrati con i sensori wireless della “fabbrica intelligente”, fino ad ora alimentati con batterie che necessitano di essere ricaricate e poi smaltite, e fornire loro energia semplicemente applicando i sensori su una superficie calda, disponibile in molti punti della fabbrica.
“Oltre alla fabbrica e agli ambienti domestici – prosegue – c’è l’ambito biomedicale: dispositivi indossabili per il monitoraggio di pressione, temperatura o altri parametri vitali potranno essere “ricaricati” con il semplice calore del corpo.
“Si tratta di un campo di ricerca dalla portata innovativa dirompente – conclude Giovanni Pennelli – Al momento il primo prototipo è già operativo, e ha già attirato l’interesse di alcune industrie, interessate a produrre dispositivi per ricaricare i sensori su larga scala. Una rivoluzione energetica come quella di cui ci sarà bisogno nei prossimi anni richiede la produzione e messa in commercio di dispositivi più grandi, ma sempre basati sullo stesso principio. La tecnologia esiste e funziona. È necessario ora che sia messa in grado di contribuire al miglioramento delle condizioni del nostro pianeta”.