Ambiente

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Il piombo non è solo un problema delle aree industrializzate. Un recente studio condotto dall'UAB e dalla UB in una regione incontaminata dell'Amazzonia peruviana dimostra che questa tossina persistente rappresenta una crisi sanitaria inaspettata per le popolazioni indigene.

I risultati sono sbalorditivi: i livelli medi di piombo nel sangue superano di oltre il doppio la soglia di rischio (11.74μg/dL), con una percentuale che sfiora il 95% di adulti e bambini con esposizione pericolosa. Il piombo è noto per i suoi effetti deleteri su organi vitali e, in particolare, sul neurosviluppo infantile.

Un legame complesso e controintuitivo

L'inquinamento atmosferico è universalmente riconosciuto come una minaccia per la salute umana e per gli ecosistemi. Le particelle sottili (PM2.5), prodotte dalla combustione di combustibili fossili, dagli incendi o sollevate dalle tempeste di sabbia, sono note per i loro effetti dannosi. Tuttavia, una nuova ricerca sta svelando un lato inaspettato e profondamente controintuitivo di questo fenomeno: in determinate condizioni, queste stesse particelle possono avere un effetto benefico sui raccolti agricoli, agendo come catalizzatori per la pioggia e aumentando la resilienza delle colture allo stress idrico. Uno studio condotto da un team internazionale di scienziati del clima e agronomi sta riscrivendo la nostra comprensione dei complessi legami tra atmosfera, inquinamento e agricoltura.


Dal 3 al 5 ottobre torna l'Urban Nature, il festival nazionale del WWF Italia giunto alla nona edizione, con oltre 100 appuntamenti distribuiti in tutte le regioni. L'iniziativa mira a valorizzare la biodiversità urbana come strumento chiave per rendere le città più vivibili, sicure e resilienti agli effetti della crisi climatica.

In concomitanza con il festival, il WWF pubblica il nuovo report "Adattamento alla crisi climatica in ambito urbano: ripensare le città come sistemi viventi di natura e persone", che invita a trasformare l'adattamento in un'occasione per ristabilire la relazione tra natura, persone e sistemi urbani.


Il vasto Parco Nazionale Etosha, in Namibia, un gioiello di biodiversità e uno dei più grandi parchi faunistici dell'Africa, è stato di recente devastato da un gigantesco incendio. L'evento ha consumato circa un quinto della sua superficie, un'area che si estende per oltre 4.000 chilometri quadrati.

Questo disastro ecologico serve da doloroso promemoria di come un atto di disattenzione o di pura stupidità umana possa avere conseguenze catastrofiche. Le indagini sulle cause dell'incendio sono ancora in corso, ma si ritiene che l'origine sia da ricondurre a qualche forma di attività umana, come la produzione di carbone in una fattoria vicina al parco. La tragedia di Etosha sottolinea la fragile relazione tra le aree protette e le comunità umane che le circondano.

Etosha, che in lingua Oshindonga significa "grande luogo bianco" a causa della sua immensa salina, ospita una straordinaria varietà di specie animali. È uno dei pochi luoghi al mondo dove si può ammirare il raro rinoceronte nero, oltre a una delle più grandi popolazioni di leoni, branchi di elefanti e giraffe. L'incendio non solo ha distrutto l'habitat di queste specie, ma ha anche messo a rischio la loro stessa sopravvivenza, costringendole a fuggire in cerca di rifugio e cibo. Purtroppo, la fuga degli animali dalle aree protette li espone anche al rischio di bracconaggio, un problema ancora molto presente in Africa.

 

I biologi coinvolti nel progetto LIFE ADAPTS hanno lanciato un messaggio di vitale importanza in vista della Notte Europea dei Ricercatori: la scienza che protegge le creature marine è fondamentale per la sopravvivenza delle nostre comunità costiere di fronte alla crisi climatica.

Alla Ricerca di Strategie di Sopravvivenza
Il progetto LIFE ADAPTS (Climate change ADAptations to Protect Turtles and monk Seals), co-finanziato dall'Unione Europea, si concentra sull'identificazione di percorsi di adattamento al cambiamento climatico in aree cruciali per la riproduzione e la vita di tre specie iconiche del Mediterraneo: la tartaruga comune (Caretta caretta), la tartaruga verde (Chelonia mydas) e la foca monaca (Monachus monachus), in Italia, Grecia e Cipro.

 

L’Università Statale di Milano e One Ocean Foundation, un'organizzazione non profit che opera a livello internazionale per la tutela dell’ambiente marino, presentano la prima mappa su ampia scala dello stato di contaminazione dei ghiacciai italiani. Questa indagine rivela la presenza diffusa di inquinanti organici e metalli pesanti.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Archives of Environmental Contamination and Toxicology, evidenzia anche l’interconnessione tra i sistemi montani e quelli marini: la fusione dei ghiacci, accelerata dal riscaldamento globale, determina il rilascio degli inquinanti nei corsi d’acqua, i quali possono potenzialmente raggiungere gli ecosistemi marini.

 

Gli spazi verdi urbani, come parchi, giardini e foreste urbane, rappresentano un elemento chiave per il benessere psicologico nelle città moderne. Numerosi studi hanno indagato il legame tra contatto con la natura e salute mentale, evidenziando effetti positivi significativi. L'articolo presenta una revisione sistematica e una meta-analisi recente sugli effetti della natura urbana sulla salute mentale, integrando studi storici e ricerche all’avanguardia.

Fig.Concentrazioni medie di particelle di microplastiche nell'acqua in bottiglia proveniente da diversi Paesi.(da Zhang et al. J Environ Expo Assess 2024;3:24 Fig.3)

 

 

Uno studio recente, condotto da Junjie Zhang et al. e pubblicato sul Journal of Environmental Exposure Assessment del 28 Nov 2024, ha avuto come obiettivo la quantificazione e la caratterizzazione delle particelle di plastica, con particolare attenzione alle nanoplastiche, presenti nell'acqua in bottiglia. L'indagine è stata condotta attraverso una metodologia avanzata per superare i limiti delle tecniche di rilevamento convenzionali.

Metodologia di ricerca e risultati analitici

La ricerca ha impiegato la microscopia a scattering Raman, una tecnica che permette l'identificazione e la mappatura dei materiali a livello nanometrico. Questa metodologia ha consentito di analizzare in modo dettagliato la composizione del particolato plastico presente nei campioni di acqua. L'analisi ha rilevato una concentrazione media di circa 240.000 frammenti per litro, un valore significativamente superiore rispetto alle stime derivate da studi precedenti che si limitavano alla rilevazione delle microplastiche.




Recenti test condotti da ricercatori statunitensi hanno rilevato la presenza di PFAS (sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche), spesso chiamate "sostanze chimiche eterne", nel 95% delle birre analizzate. Questo studio, pubblicato su una prestigiosa rivista scientifica, sta sollevando importanti interrogativi sulla qualità dell'acqua utilizzata per la produzione di bevande e sui potenziali rischi per la salute.

Che cosa sono le PFAS?
Le PFAS sono una vasta famiglia di oltre 4.000 composti chimici sintetici che, a partire dagli anni '40, sono stati largamente impiegati nell'industria per le loro proprietà idrorepellenti, oleorepellenti e antiaderenti. Si trovano in innumerevoli prodotti di uso comune, come pentole, abbigliamento impermeabile e imballaggi per alimenti. La loro pericolosità deriva dalla loro straordinaria persistenza: non si degradano facilmente né nell'ambiente né nel corpo umano, da cui il soprannome di "sostanze chimiche eterne". La loro esposizione è stata collegata a potenziali rischi per la salute, inclusi problemi immunitari, disfunzioni tiroidee e persino alcuni tipi di tumori.

1. Introduzione
L'inquinamento dei suoli da parte di metalli pesanti (MP), quali cadmio (Cd), piombo (Pb), cromo (Cr), arsenico (As) e mercurio (Hg), rappresenta una problematica ambientale di rilevanza globale, aggravatasi a causa dell'intensificazione delle produzioni agricole. Le pratiche moderne, come l'uso di pesticidi a base di arsenico e altri composti metallici, e l'estrazione di ingenti volumi d'acqua da falde profonde, spesso situate in strati vulcanici ricchi di questi elementi, hanno contribuito a un accumulo critico di tali contaminanti nel suolo.


Questi contaminanti non sono biodegradabili e tendono ad accumularsi nella catena trofica, ponendo seri rischi per la salute degli ecosistemi e per quella umana. I metodi di risanamento convenzionali, tra cui l'escavazione e il trattamento ex situ, sono spesso inefficaci, economicamente onerosi e possono alterare irreversibilmente la struttura e la fertilità del suolo. In risposta a queste limitazioni, le tecnologie di biorisanamento offrono approcci alternativi, eco-compatibili e sostenibili. Tra queste, oltre all'utilizzo di piante iperaccumulatrici di metalli pesanti come le brassicacee (es. Brassica juncea) e il girasole (Helianthus annuus), l'interesse scientifico si è rivolto verso la micorimediazione, che sfrutta la simbiosi tra funghi e radici di piante. Il presente articolo si propone di analizzare in dettaglio i meccanismi attraverso i quali le micorrize agiscono nella bonifica dei suoli inquinati da metalli pesanti.

 

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