Ambiente

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Uno studio condotto dall’Università degli studi di Trieste e pubblicato sulla rivista Climate of the Past apre nuove prospettive sull’uso dei modelli climatici.

Il riscaldamento globale sulle Alpi procede a velocità quasi doppia rispetto alla media globale: un processo dalle conseguenze molto impattanti che trova un precedente in senso opposto nell’ultima glaciazione.

Lo studio condotto dall’Università degli studi di Trieste appena pubblicato sulla rivista internazionale “Climate of the Past” dal titolo “Atmosphere–cryosphere interactions during the last phase of the Last Glacial Maximum in the European Alps” ha stimato come tra 26mila e 21mila anni fa il clima delle Alpi abbia registrato valori di raffreddamento quasi doppi rispetto alla scala globale. L’equazione utilizzata per ricostruire il paleoclima – ossia, il clima di periodi geologici e storici precedenti lo sviluppo degli strumenti di misura delle componenti climatiche e del tempo atmosferico – in questa zona funziona anche in direzione opposta e offre utili indicazioni rispetto al futuro.



Le zone umide tropicali ospitano ecosistemi con un alto valore di biodiversità e forniscono servizi ecosistemici essenziali. Molte di queste aree, tuttavia, sono punti critici globali per l'urbanizzazione, in particolare in Asia, dove questo processo ha comportato una rapida conversione, frammentazione e degrado dell'80% delle zone umide lungo la Via dell'Asia orientale-Australasia (EAAF) per gli uccelli migratori. Tuttavia, l'impatto di questi cambiamenti su larga scala sulle specie di uccelli migratori in un sito chiave lungo l'EAAF non è stato ancora valutato. In uno studio condotto da Felix Leung e colleghi, sono stati utilizzati dati a lungo termine (oltre 40 anni) provenienti da Deep Bay (Hong Kong), un'insenatura poco profonda nell'estuario del Fiume delle Perle (PRE) nella Cina meridionale, per investigare l'impatto dell'urbanizzazione sulla qualità del bacino imbrifero e dell'acqua e sulla capacità dell'ecosistema di sostenere le popolazioni di uccelli acquatici migratori.



Diversi alimenti comunemente consumati sulle nostre tavole come pasta, riso, carote, patate e manzo, se cotti in acqua contaminata da PFAS (composti per- e poli-fluoroalchilici), possono diventare a loro volta una fonte di questi pericolosi inquinanti. Lo rivela un’indagine di laboratorio preliminare condotta da Greenpeace Italia e CNR-IRSA, secondo cui la presenza di PFAS negli alimenti cotti in acqua contaminata può essere decine di volte superiore rispetto agli alimenti crudi.

Negli esperimenti realizzati da Greenpeace Italia e CNR-IRSA sono stati lessate porzioni di pasta, riso, carote, patate e manzo in acqua contaminata da PFAS proveniente dal pozzo di una famiglia di Lonigo (Vicenza) che, per decenni e fino alla primavera 2023, ha usato quest’acqua come unica fonte. La storia della famiglia è stata raccontata da Greenpeace nei mesi scorsi.


Un nuovo studio condotto dal Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin, in collaborazione col Museo di Zoologia dell’Università Sapienza, ha evidenziato come la diminuzione di mosche tachinidi per effetto del cambiamento climatico rappresenti un rischio per l’intero ecosistema delle aree montane. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista PNAS
Il cambiamento climatico ha un impatto particolarmente rilevante sulla biodiversità montana. Infatti, le specie di alta quota sono spesso specialiste, cioè capaci di vivere in una ristretta varietà di condizioni ambientali ( a volte estreme), e quindi sono anche molto sensibili ai cambiamenti climatici.

Le mosche tachinidi sono insetti parassitoidi che “sfruttano” altri insetti (specialmente bruchi) allo stadio larvale, mentre sono a vita libera e si nutrono di nettare da adulti.

“Negli ecosistemi montani – spiega Pierfilippo Cerretti, Direttore del Museo di Zoologia e autore senior dello studio - il loro ruolo è cruciale perché tengono sotto controllo le popolazioni di diversi insetti erbivori di cui sono parassiti. Alcune specie mostrano una preferenza per specifici ospiti, mentre altre sono largamente generaliste”.


A rischio oltre la metà delle specie di squali nel Mediterraneo, percentuale più alta rispetto al resto degli oceani

42 SPECIE DI SQUALI E RAZZE SONO A RISCHIO

Il WWF lancia un appello a tutti i paesi del Mediterraneo, affinchè mettano in atto le misure vincolanti emanate dalla Commissione Generale della FAO per la Pesca nel Mediterraneo e dalla CITES, recentemente adottate e che potrebbero migliorare la gestione della pesca e del commercio di squali e razze e aiutare il recupero delle 42 specie appartenenti a questo gruppo e ancora minacciate. Oltre la metà delle specie presenti nel Mediterraneo, infatti, sono a rischio: si tratta della percentuale più alta rispetto al resto degli oceani.

In occasione dello Shark Awareness Day (giornata mondiale dedicata allo squalo, il 14 luglio) il WWF ricorda come, in un Mediterraneo surriscaldato, popolazioni sane di squali e razze svolgano anche un ruolo ‘insospettabile’ e importante nel mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici, aumentando con la loro presenza e attività il sequestro del carbonio e supportando la biodiversità marina.


Sono il risultato del progetto europeo PRIMA Fedkito coordinato dall’Università di Pisa; sperimentata anche l’aggiunta di biosensori per controllare la presenza di contaminanti


In spray, liquido, pellicola o in vaschette ecco gli eco-imballaggi a base di chitosano ricavato dall’esoscheletro di insetti come la mosca soldato nera. L’innovazione per ridurre l’uso della plastica nel packaging arriva dal progetto europeo PRIMA Fedkito appena giunto a conclusione e coordinato dalla professoressa Barbara Conti del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa.



La malattia di Pierce, nota anche come "malattia della vite di Pierce," è una delle minacce più temibili per le viti d'Europa. Questa devastante condizione ha guadagnato notorietà grazie all'opera pionieristica del fitopatologo americano Newton B. Pierce, che la identificò nel tardo XIX secolo.

L'Eredità di Newton B. Pierce
Newton B. Pierce, nato nel 1849, fu un appassionato ricercatore nel campo della fitopatologia. Durante la sua carriera presso l'United States Department of Agriculture (USDA) e successivamente presso l'Università della California, Riverside, Pierce dedicò il suo impegno a studiare le malattie delle piante e a trovare soluzioni per proteggere le coltivazioni agricole.
Durante il suo lavoro all'USDA, Pierce iniziò a indagare su una misteriosa malattia che stava colpendo le viti della California negli anni '80 del XIX secolo. Questa malattia causava un'ampia gamma di danni, tra cui appassimento delle foglie, ingiallimento, marciume delle radici e morte improvvisa delle viti. Questi sintomi avevano conseguenze gravi, portando a significative perdite nella produzione di uva e alla distruzione di vigneti.


Il webinar di #CAMBIAMOAGRICOLTURA lunedì 23 ottobre alle 18.00 sulla pagina Facebook

 

Il glifosato è davvero così innocuo come sembrano indicare le autorità europee?
Le risposte a questa domanda nel Webinar organizzato dalla Coalizione #CambiamoAgricoltura, lunedì 23 ottobre alle ore 18.00 in diretta sulla pagina Facebook. L’evento è organizzato con il contributo di Fondazione Cariplo nell’ambito del Progetto #CambiamoAgricoltura: Dal Piano Strategico Nazionale della PAC post 2022 alla Strategia UE “Farm to Fork”. Per maggiori informazioni: www.cambiamoagricoltura.it

Foreste, toccasana per l’asma

21 Ott 2023 Scritto da

 

Una ricerca condotta dall’Istituto per la bioeconomia del Cnr e dal Club alpino italiano, con l’Istituto Pio XII di Misurina e l’Ospedale universitario di Parma, ha stabilito che i monoterpeni, componenti degli oli essenziali emessi dalle piante, possono migliorare le condizioni respiratorie dei bambini e degli adolescenti asmatici. Lo studio è pubblicato su Forests

 La “terapia forestale”, oltre che avere effetti significativi sulla riduzione dei sintomi dell’ansia, può contribuire al miglioramento delle funzioni respiratorie di bambini e adolescenti affetti da asma e sottoposti alle terapie convenzionali. Lo dimostra una ricerca sperimentale realizzata presso il Lago di Misurina (Belluno) da un gruppo di ricerca dell’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Ibe) e del Club alpino italiano (Cai), assieme a Istituto Pio XII di Misurina, e alle Università di Parma, Ferrara e Verona.

Uno studio congiunto dell’Università Statale di Milano e dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche, pubblicato su Animal Conservation, sancisce il ritorno del castoro europeo sul territorio italiano dopo 500 anni: un esempio di ritrovata biodiversità, che necessita di strumenti di monitoraggio per ridurre i possibili danni dovuti alle attività del castoro.

 Le attività di reintroduzione e “rewilding” sono alcuni degli strumenti principali usati nel campo della biologia della conservazione per cercare di mitigare gli impatti dell’uomo sull’ambiente e riportare gli ecosistemi ad uno stato più naturale. Queste azioni possono talvolta comportare alcune sfide, in particolare quando le specie coinvolte sono grandi carnivori, grandi erbivori, o “ingegneri ecosistemici”, specie che con le loro attività possono modificare notevolmente gli habitat ed il paesaggio.

 

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