Ambiente

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Una ricerca, pubblicata su Global Change Biology, rivela che le foreste presenti nelle regioni umide, attirando umidità dal mare, provocano l’aumento delle precipitazioni di pioggia. Questo invece non accade nelle zone più secche. Il lavoro prende in esame anche alcuni effetti del cambiamento climatico ed è frutto di una collaborazione internazionale, coordinata dalla Technical University di Monaco di Baviera, a cui partecipano l’Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Cnr e l’Università degli studi di Firenze.

 Dai risultati di uno studio pubblicato su Global Change Biology - coordinato dalla Technical University di Monaco di Baviera (Germania) in collaborazione con l’Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Torino (Cnr-Isac) e l’Università degli studi di Firenze - emerge la possibilità che le foreste favoriscano il trasporto di umidità dal mare alla terraferma, in presenza di condizioni atmosferiche umide. Al contrario, laddove l’atmosfera è più secca, la traspirazione delle piante potrebbe inficiare il trasporto di masse d’aria marina umida, limitando così le precipitazioni piovose.

 

Ricercatori del Cnr, della Stazione Zoologica “Anton Dohrn” e delle Università di Siena e Palermo hanno avviato un esperimento di citizen science volto a monitorare, anche con l’aiuto dei più diffusi social networks, gli spostamenti degli esemplari di Alca torda – più comunemente nota come gazza marina – nei mari italiani, un ambiente non convenzionale per tale specie. I risultati sono pubblicati sulla rivista Animals.

 Cosa succede quando applicazioni nate per condividere attimi di vita quotidiana diventano strumenti utili alla scienza? E’ quanto ha provato a indagare un team di ricercatori della Stazione Zoologica “Anton Dohrn” in collaborazione con colleghi dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Iret) e delle Università di Siena e Palermo, avviando un innovativo esperimento di citizen science volto a monitorare, anche con l’aiuto dei più diffusi social networks, gli spostamenti degli esemplari di Alca torda – più comunemente nota come gazza marina – nei mari italiani.


Pubblicato su «PNAS» lo studio dell’Università di Padova e della Fondazione Museo Civico di Rovereto in cui si dimostra come la maggioranza delle piante delle Alpi nord orientali italiane si sposta verso quote più alte come risposta ai cambiamenti climatici. Il Bromus erectus, ad esempio, negli ultimi trent’anni si è spostato con una velocità di circa 3 metri l’anno.

Il Sorghum halepense, una specie aliena, si è spostato con una velocità di 4 metri l’anno. Diverso è il caso della Pulsatilla montana, specie rara, che ha retratto la sua distribuzione storica di circa 50 metri nei trent’anni. Le piante aliene, soprattutto negli ambienti antropizzati, sono molto veloci a crescere e sottraggono le risorse alle altre specie autoctone. È stata pubblicata sulla rivista internazionale «Proceedings of the National Academy of Sciences» (PNAS) la ricerca dal titolo “Red-listed plants are contracting their elevational range faster than common plants in the European Alps” firmato dal professor Lorenzo Marini e dalla dottoressa Costanza Geppert del Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente dell’Università di Padova insieme ad Alessio Bertolli e Filippo Prosser, botanici della Fondazione Museo Civico di Rovereto, sulle variazioni della distribuzione geografica delle  piante alpine in base ai cambiamenti a lungo termine delle temperature.


Lo studio dell’Università di Pisa e della Fondazione Edmund Mach di Trento pubblicato sulla rivista Global Change Biology.


Per effetto del cambiamento climatico la distribuzione di Echinococcus multilocularis, un parassita di canidi e piccoli mammiferi, e dannoso per la salute umana, è in espansione. La notizia arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Global Change Biology e condotto dal professor Alessandro Massolo del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa in collaborazione con la Fondazione Edmund Mach di Trento.

“Il cambiamento globale in corso sta influenzando drammaticamente la diffusione e l’emergere di molte malattie infettive, sia nelle popolazioni umane, sia in quelle animali – spiega il professor Massolo – si stima infatti che oltre il 60% delle malattie infettive umane conosciute e circa il 75% di quelle emergenti siano causate da agenti patogeni di origine animale; comprendere dunque l'impatto del cambiamento globale sulla distribuzione e la prevalenza dei parassiti è una questione cruciale per la salute pubblica”.



A pochi giorni dall’anniversario del conflitto in Ucraina, Greenpeace e la ONG ucraina Ecoaction pubblicano oggi una “Mappa dei danni ambientali” causati dalla guerra e per denunciare i gravissimi impatti sugli ecosistemi. Le due organizzazioni chiedono inoltre al governo di Kiev e alla Commissione Europea di istituire un fondo per il ripristino dell’ambiente, vittima silenziosa della guerra.

I dati, raccolti da Ecoaction e consultabili online, sono stati confermati dalle immagini satellitari e mappati da Greenpeace Central and Eastern Europe (CEE). La mappa illustra 30 dei 900 eventi raccolti, per evidenziare gli impatti ambientali più gravi. In base alle informazioni ufficiali, dall’inizio delle ostilità sono stati danneggiati circa il 20 per cento delle aree naturali protette del Paese, e 3 milioni di ettari di foresta, mentre altri 450 mila ettari si trovano in zone occupate o interessate dai combattimenti.

 Lago Tovel (Trento)

 

Una ricerca sperimentale condotta dall’Istituto per la bioeconomia del Cnr e dal Club alpino italiano ha svelato l’effetto dei monoterpeni – componenti degli oli essenziali emessi dalle piante, abbondanti nelle foreste - nel ridurre i sintomi dell’ansia. Lo studio è pubblicato su International Journal of Environmental Research and Public Health.

 Una ricerca sperimentale condotta in 39 siti italiani tra montagna, collina e parchi urbani ha permesso di svelare il ruolo dei monoterpeni – componenti profumati degli oli essenziali emessi dalle piante - e di isolarne l’effetto specifico sulla riduzione significativa dei sintomi dell’ansia. A condurla, un team di ricercatori dell’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Ibe) e del Club Alpino Italiano, insieme alle Università di Parma e Firenze, all’Azienda unità sanitaria locale (Ausl) di Reggio Emilia, e con il sostegno del Centro di riferimento regionale per la fitoterapia (Cerfit) di Firenze: la ricerca è pubblicata sul International Journal of Environmental Research and Public Health.

In base all’analisi di dati ambientali e psicometrici raccolti nel corso delle campagne svolte nel 2021 e nel 2022, è stato individuato e isolato l’effetto specifico dell’esposizione ai monoterpeni -e in particolare ad α-pinene- sulla riduzione significativa dei sintomi di ansia, identificando non solo soglie di esposizione, ma anche la correlazione alla quantità di monoterpeni inalati.

IL 12 FEBBRAIO È IL DARWIN DAY

12 Feb 2023 Scritto da


Per la giornata dedicata al padre della teoria dell’evoluzione, 5 storie di specie animali "salvate" dalla scienza

Domenica 12 febbraio si celebra il Darwin Day, in occasione dell’anniversario della nascita del naturalista padre della teoria dell’evoluzione e ispiratore della scienza della conservazione Charles Darwin, che con le sue opere e i suoi studi ha messo in discussione la visione antropocentrica del Pianeta.

Da anni questa data viene festeggiata in diversi paesi con appuntamenti che ricordano i valori della ricerca scientifica e del pensiero razionale. Per questo il WWF vuole celebrare il Darwin Day parlando dell’imprescindibile ruolo della scienza nella conservazione del nostro patrimonio di biodiversità.

Darwin, infatti, ci ha fatto capire che solo la scienza può, da un lato aiutarci a diffondere le corrette conoscenze e a vincere ataviche paure e pregiudizi su molte specie animali, dall’altro permetterci di vincere la sfida della conservazione grazie a tecnologie innovative e azioni coraggiose.

Le specie vittime di pregiudizi e leggende


Anche i fiumi ‘respirano’, giocando un ruolo centrale nel ciclo del carbonio globale. A far luce sul contributo degli ecosistemi fluviali agli scambi con l’atmosfera di ossigeno e gas a effetto serra è uno studio pubblicato oggi su Nature da un team internazionale a cui ha collaborato l’italiano Enrico Bertuzzo, professore di Idrologia all’Università Ca’ Foscari Venezia.

La ricerca ha riesaminato la nostra attuale conoscenza sui flussi di carbonio nel sistema fluviale globale, dimostrando il loro ruolo centrale nel ciclo del carbonio e proponendo la creazione di un Sistema globale di osservazione dei fiumi.

Fino a tempi recenti, la nostra conoscenza del ciclo globale del carbonio era limitata agli oceani e agli ecosistemi terrestri. Il gruppo di ricerca guidato da Tom Battin, a capo del River Ecosystems Laboratory (RIVER) dell’EPFL, ha per la prima volta combinato i dati più recenti per dimostrare la grande importanza degli ecosistemi fluviali per i flussi di carbonio, integrando terra, atmosfera e oceani.

 

 

Il progetto Aule Natura del WWF Italia, che in due anni ha già riqualificato 5.000 metri quadrati di giardini scolastici prima inutilizzati o degradati, si digitalizza nella sua versione 4.0, per essere anche in linea con il Piano del Ministero dell’Istruzione “Scuola 4.0” per la trasformazione delle classi tradizionali in ambienti innovativi di apprendimento.

Nei capoluoghi di provincia in media ci sono 7,5 metri quadri di giardini scolastici per ciascun minorenne, ma circa nel 40% dei capoluoghi del sud Italia ciascun minore ne ha meno di 3 metri quadrati

Il “verde scolastico” è una fonte quasi inesauribile di opportunità educative. Il WWF Italia lo sa da tempo e da due anni lo sta dimostrando attraverso il progetto Aule Natura, che trasforma i tradizionali cortili delle scuole in piccole oasi di natura dove lo studio dell’ambiente e il suo rispetto sono ormai una pratica concreta, implementata grazie all’uso della tecnologia a supporto dell’osservazione e dell’approfondimento.

Nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese: lo attesta uno studio scientifico condotto da un team di ricercatori dell’Università di Padova e dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna. La ricerca è pubblicata su «Nature Climate Change»

La neve sta diventando sempre più effimera nelle nostre Alpi. Nonostante la tipica variabilità che conosciamo bene tra un inverno e il successivo, quello che stiamo sperimentando negli ultimi decenni è qualcosa che non si era mai riscontrato da prima della scoperta delle Americhe. In pratica, nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese.

 

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