Futurismo - moda - design la ricostruzione futurista dell’universo

Alessandro Quinzi 20 Gen 2010

Se l’abito non fa il monaco, certo fa il Futurista. Ne era ben convinto Giacomo Balla: “si pensa e si agisce come si veste”, scrisse nel suo Manifesto per il vestito antineutrale del 1914.
Così giù picconate ai simboli stessi del decoro maschile: demolita la simmetria delle giacche, ficcati in un dimenticato cassetto i colori nero e marrone d’ordinanza, via libera a panciotti che sono un tripudio di colori a scarpe e sciarpe pluricolorate. La cravatta, aboliti i nodi scorsoi "da impiccato”, diventa oggetto di un apposito Manifesto futurista sulla cravatta italiana. Intanto Thayaht inventa la “tuta”, dall’aggettivo “tutta” cui viene tolta una T, lettera che rappresenta graficamente il semplice taglio bidimensionale di un nuovo capo di vestiario che si vuole alla portata di tutti, confezionabile in casa. Un abito universale in grado di sostituire un intero guardaroba, sia in versione maschile che femminile. Futuristi sono anche gli ombrelli (in mostra tre di rarissimi), le borsette, i cappelli, ma non la biancheria intima perché, costringendo =l corpo, dai futuristi era aborrita.

Alla moda e alla “Ricostruzione futurista dell’universo quotidiano”, meglio domestico, i Musei Provinciali di Gorizia dedicano una originalissima esposizione curata da Raffaella Sgubin e Carla Cerutti, allestita al Museo della Moda e delle Arti Applicate dei Musei Provinciali dal 19 dicembre al primo maggio.
Ad essere esposti saranno oltre cento pezzi originali, alcuni dei capi in mostra sono concessi da coloro che oggi fanno la moda: Laura Biagiotti Cigna, ad esempio, mentre Roberto Capucci, a conclusione della rassegna, è presente con un’anteprima del suo abito-omaggio al Futurismo.
Ma la mostra, come indica il sottotitolo - che fa riferimento all’ennesimo Manifesto quello dedicato a La ricostruzione futurista dell’universo firmato nel 1915 da Balla e Depero - non si ferma alla moda. Indaga infatti anche il mondo delle cosiddette arti applicate, oggetti ed arredi della quotidianità. Oggetti tutt’altro che secondari dato che attraverso loro, la rivoluzione modernista proclamata dal movimento può avere una diffusione più estesa e capillare, entrare a far parte della realtà, del vissuto. “Quegli omini – scrive Marinetti riferendosi alle esperienze moderniste internazionali '96 hanno finalmente la gioia di vivere fra pareti di ferro. Hanno mobili d’acciaio, venti volte più leggeri e meno costosi dei nostri. Sono finalmente liberati dall’esempio di fragilità e di mollezza debilitante che ci danno il segno e le stoffe coi loro ornamenti agresti”. Non è un caso, infatti, che vi sia un gran proliferare di Case d’Arte, da nord a sud, negli anni Dieci, Venti e Trenta: da Balla a Prampolini, a Depero, a Giannattasio, Tato, Rizzo, Corona, Dal conte, Diulgheroff, Andreoni, Pizzo e Azari. La loro produzione è vasta, varia e diversificata, per quanto omogenea nello stile: dal mobile al componente d’arredo, agli arazzi, alle stoffe, ai pannelli decorativi, ai tappeti, alle ceramiche, ai metalli, nel tentativo di ridare dignità artistica all’oggetto d’uso. La trasposizione della dinamicità dalle arti figurative a quelle decorative investe sia le forme che le decorazioni, improntate su plastiche combinazioni astratte cinetiche.

 

 

 

 

 

I risultati variano da tipologia a tipologia, a seconda dei materiali utilizzati e dell’artista stesso. Balla è, infatti, più dinamico, Depero apparentemente più statico ma comunque vitale grazie al suo colorismo rutilante, Prampolini più severo e modernista. Se la produzione ceramica, sviluppatasi soprattutto ad Albisola, grazie ai fratelli Torido e Tullio Mazzotti, è sicuramente quella più conosciuta e rappresentativa del movimento, con =sempi calzantissimi come l’alzata destrutturata di Diulgheroff e Tullio d’Albisola, non sono da meno i mobili, per lo più in legno dipinto, dove la =ecorazione è solitamente più “futurista” della forma, fatta eccezione per =ualche esempio di Balla e di Depero (si pensi alle seggioline rosse del Cabaret del diavolo) e per il sorprendente tavolino readymade di Thayaht. Interessante anche il capitolo delle stoffe e degli arazzi, dove la tecnica a tarsia di panno, diffusa da Depero e dalla sua Casa d’Arte in Rovereto, trova applicazioni mirabili in diversi artisti-artigiani, come la veneziana Bice Lazzari, pittrice e decoratrice, abilissima nella tessitura al telaio e nella realizzazione di arazzi e cuscini in panno Lenci tagliato e ricucito.
La mostra è visitabile dal martedì alla domenica dalle ore 9.00 alle ore 19.00.

Per informazioni:
Musei Provinciali di Gorizia
Borgo Castello, 13
Telefono: 0481 533926 / 530382

Ultima modifica il Martedì, 06 Marzo 2012 14:14
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