“In mare le plastiche galleggianti si frammentano gradualmente in particelle più piccole. Particolarmente preoccupanti sono le microplastiche, particelle di dimensione tra 1 micron e 5 millimetri, il cui impatto sull'ecosistema marino è ancora oggetto di ricerca a uno stadio iniziale”, dice Maurizio Azzaro, responsabile della sede Cnr-Isp di Messina e coautore dell’articolo. “È comunque confermato da diversi studi scientifici il passaggio nella rete alimentare delle microplastiche, ritenute una delle sei emergenze mondiali dell’ambiente, con forti ripercussioni sulla salute umana”.
Ma da dove provengono le microplastiche sversate in mare? “Basti considerare che ogni volta che laviamo un pile o qualunque indumento contenente fibre sintetiche, queste vengono veicolate dagli scarichi nell’ambiente marino. Questa azione che a noi risulta naturale provoca enormi danni all’ambiente, ancor più se commessa in ambienti estremi dove sono ubicate le basi scientifiche polari”, prosegue Azzaro. Lo studio indica infatti che, mentre nelle zone costiere la quantità di rifiuti plastici è rimasta costante negli ultimi anni, fino al 2019, in aree remote se ne osserva un aumento.
“Questo potrebbe essere interpretato come un trasferimento a lungo termine di rifiuti, dalle aree urbanizzate colpite più direttamente alle regioni in cui l'attività antropica è estremamente ridotta o assente”, conclude il ricercatore Cnr-Isp. “Tuttavia, mentre la quantità totale globale di rifiuti di plastica è prevista dai modelli in aumento, la situazione apparentemente stazionaria delle quantità nei sistemi costieri pone
una sfida alla nostra capacità previsionale. Le domande sul destino dei rifiuti plastici, su come si degradano e si spostano in mare non hanno avuto una risposta completa e nel prossimo decennio, dedicato dalle Nazioni Unite alle scienze oceaniche, questa dovrebbe essere sicuramente una priorità”.