GIORNATA MONDIALE DEL GORILLA

il 24 settembre è la Giornata mondiale del gorilla, quello di montagna in bilico tra bracconaggio e guerre civili
Nonostante le criticità degli ultimi mesi dovute alla pandemia da Covid-19, gli sforzi di conservazione per la salvaguardia del Gorilla di montagna continuano a dare dei buoni frutti.
Lo racconta il WWF, in occasione della Giornata mondiale del Gorilla, che si celebra il 24 settembre. La sottospecie, suddivisa in due popolazioni, è presente unicamente in due aree protette: nel Parco Nazionale del Virunga, posto ai confini tra l’Uganda, il Rwanda e la Repubblica Democratica del Congo, e nel Parco Nazionale del Bwindi in Uganda.
All’esterno delle due aree protette si rinviene la maggiore densità umana del continente africano. Questa situazione determina due fattori di rischio importanti per il gorilla di montagna: l’elevata possibilità per gli individui ospitati nelle aree protette di contrarre il virus per diretto contatto uomo-gorilla e l’aumento delle attività illegali dovute a un minor controllo delle aree a causa dei mancati afflussi turistici.
OLTRE 800 LE TRAPPOLE RIMOSSE
Nonostante una fase iniziale di incertezza e paura, basti pensare che nei primi due mesi di pandemia sono stati rinvenuti nelle Riserve dai ranger 822 trappole illegali contro le 21 del 2019 e che per mano di un bracconiere sia deceduto Rafiki, uno dei più carismatici silverback (maschi adulti) del Virunga, nel periodo successivo entrambe le minacce sono state scongiurate grazie all’assidua e rinforzata attività del personale delle riserve.
In un momento storico così complicato per la conservazione sul campo, i dati della popolazione non destano preoccupazione, come sostenuto da Nelson Guma, responsabile dei ranger dell’Area di Conservazioine di Bwiindii Mgahiinga: “Quando agiamo con l’intento di mettere in atto nuove e più severe misure di conservazione, i risultati sono sempre fantastici”.
Scoperte due nuove galassie formatesi all’alba dell’universo nascoste dietro la polvere interstellare

L’attuale censimento della formazione e della crescita delle galassie dopo il Big Bang è ancora incompleto. Lo svela un team di ricerca internazionale, che in Italia coinvolge cosmologi della Sapienza e della Scuola Normale Superiore di Pisa. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature
L’universo primordiale è probabilmente molto più ricco di quanto sembri. La polvere interstellare potrebbe celare intere popolazioni di galassie finora sconosciute. È di queste settimane la scoperta ad opera di un team di ricerca internazionale, che in Italia vede coinvolte la Sapienza e la Scuola Normale Superiore di Pisa, di due galassie antichissime, risalenti a circa un miliardo di anni dopo il Big Bang, quando l’Universo aveva raggiunto poco meno dell’8% della sua età.
Registrata per la prima volta la “voce” del talamo dall’esterno del capo

Una ricerca congiunta Milano-Bicocca e San Raffaele, ha registrato la “voce” del talamo visivo nell’essere umano, per la prima volta e in modo non invasivo, cioè mediante sensori appoggiati all’esterno del capo. Una ricerca che fa luce sul ruolo di questa struttura fondamentale per la nostra attività sensoriale, in quanto trasmette al cervello le immagini che provengono dalla retina, svelando anche come esso influisca sulla nostra capacità attentiva.
Lo studio “Scalp-recorded N40 visual evoked potential: Sensory and attentional properties”, che è stato condotto presso il laboratorio di Elettrofisiologia cognitiva da Alice Mado Proverbio, docente di psicobiologia del Dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca, insieme a Veronica Broido e Francesco De Benedetto, in collaborazione con Alberto Zani, docente di psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, è stato appena pubblicato sull’European Journal of Neuroscience. In questo studio viene presentato un nuovo marker bioelettrico dell’attività neurale chiamato N40 perché negativo e perché raggiunge l’apice in 40 ms.
Quegli scontri e fusioni all'alba dell'universo che hanno aiutato le galassie a crescere

Un team internazionale di astronomi, coordinato da Michael Romano, dottorando presso l’Università degli Studi di Padova e associato all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha scoperto che circa il 40% delle galassie nell’Universo primordiale si trova in sistemi in fase di fusione.
Viene così confermato lo scenario secondo cui, nelle prime fasi della loro evoluzione, le galassie hanno accresciuto in modo significativo la loro massa fondendosi tra loro Tra gli eventi più spettacolari che si possono osservare nell'Universo locale ci sono sicuramente gli “scontri tra galassie” (galactic mergers, in gergo tecnico): questi avvengono quando due o più galassie si avvicinano a tal punto da iniziare a spiraleggiare l'una sull'altra a causa della gravità, fino a fondersi in un'unica galassia più grande. Se le due galassie hanno più o meno lo stesso numero di stelle (quindi la stessa massa stellare), la galassia risultante avrà circa il doppio della massa di quelle individuali: questo infatti è il meccanismo più veloce con cui le galassie possono crescere.
Tuttavia, solo l’1% delle galassie nell’Universo locale sono osservate nell’atto di fondersi: al giorno d’oggi le galassie crescono prevalentemente perché accrescono gas freddo trasformandolo in stelle (il cosiddetto meccanismo di “formazione stellare”).
Inquinamento da metalli pesanti: se il piombo è nell’aria e negli smartphone, finirà anche nelle nostre ossa?

L’analisi dei resti umani di 132 individui vissuti in diverse necropoli del Centro Italia a partire da circa 12.000 anni fa ha permesso di rilevare i tassi di produzione di piombo e il rischio di esposizione per la salute a questo metallo nel corso del tempo e di confrontarli con quelli odierni. Lo studio, pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology con la partecipazione di ricercatori della Sapienza, suggerisce che senza una regolamentazione adeguata continueremo a sperimentare gli impatti dannosi sulla salute della contaminazione da metalli tossici.
Pensare al piombo in relazione a vernici e tubi è una associazione piuttosto riduttiva se si considera che la produzione di questo metallo pesante ha una ricca e lunga storia iniziata millenni fa, come documentano numerosi studi geochimici e archeo-metallurgici condotti negli ultimi decenni: la produzione di monete ha dato una grande spinta alla produzione di piombo 2.500 anni fa, raggiungendo il suo picco in epoca romana, per poi diminuire nel Medioevo. A partire da 1.000 anni fa, la produzione di piombo è di nuovo aumentata, congiuntamente all’estrazione dell’argento in Germania e poi nel Nuovo Mondo e, in seguito, per soddisfare le necessità della rivoluzione industriale. Ma qual è l’impatto generato dall’industrializzazione e dall’inquinamento da metalli sul corpo umano?
A Tunguska sized airburst destroyed Tall el-Hammam a Middle Bronze Age city in the Jordan Valley near the Dead Sea
We present evidence that in ~ 1650 BCE (~ 3600 years ago), a cosmic airburst destroyed Tall el-Hammam, a Middle-Bronze-Age city in the southern Jordan Valley northeast of the Dead Sea. The proposed airburst was larger than the 1908 explosion over Tunguska, Russia, where a ~ 50-m-wide bolide detonated with ~ 1000× more energy than the Hiroshima atomic bomb. A city-wide ~ 1.5-m-thick carbon-and-ash-rich destruction layer contains peak concentrations of shocked quartz (~ 5–10 GPa); melted pottery and mudbricks; diamond-like carbon; soot; Fe- and Si-rich spherules; CaCO3 spherules from melted plaster; and melted platinum, iridium, nickel, gold, silver, zircon, chromite, and quartz.
A 100% French nasal vaccine against COVID-19 yields positive pre-clinical results

In contrast to intramuscular vaccines, only nasal vaccines are able to block the virus in the nose by inducing local immunity in the nasal mucosa, i.e. the portal of entry and multiplication of the virus. The vaccine candidate, developed by the BioMAP team[1], would take position as the eighth nasal vaccine currently starting clinical testing in the world, and the only one based on viral proteins in France.
This technology for nasal vaccine has already proven to be an efficient barrier against toxoplasmosis infection in primates
This SARS-CoV-2 protein vaccine candidate builds on the BioMap team's expertise in mucosal vaccine design. In partnership with the biotech company Vaxinano, the team has already successfully developed an effective candidate vaccine to protect monkeys from toxoplasmosis. This stable, non-toxic and adjuvant-free nasal vaccine is based on a total protein extract from Toxoplasma gondii the infectious agent being produced by the team and further encapsulated in starch and lipid-based nanoparticles (Vaxinano technology). The SARS-CoV-2 nasal vaccine candidate is based on similar technology.
In a similar strategy, the SARS-CoV-2 vaccine protein component was designed and produced by the team, and then encapsulated by Vaxinano. The vaccine, consisting of the Spike protein with other viral proteins that are not prone to mutations, would protect vaccinated individuals regardless of the mutated circulating coronavirus variant strains.
L’interruttore ottico più sottile mai realizzato

Politecnico di Milano partner dello studio pubblicato su Nature Photonics.
I ricercatori del progetto Graphene Flagship hanno dimostrato per la prima volta una rivoluzionaria proprietà dei materiali bidimensionali: la possibilità di realizzare interruttori ottici ultraveloci, in grado di accendere e spegnere fasci luminosi a velocità prima inimmaginabili. Lo studio è stato pubblicato il 9 settembre 2021 sulla rivista Nature Photonics.
A partire dalla scoperta del grafene, il materiale più sottile esistente perché ha lo spessore di un solo strato di atomi, sono stati introdotti numerosi materiali cosiddetti bidimensionali, anch’essi di spessore atomico, che mostrano straordinarie proprietà fisiche e consentono la realizzazione di nuove tecnologie. I ricercatori della Friedrich Schiller University Jena, in collaborazione con il Politecnico di Milano, hanno mostrato che un semiconduttore bidimensionale, il MOS2, ha la capacità di generare luce alla seconda armonica con efficienza controllata otticamente.
IL DELTA DEL MEKONG SPROFONDA

Pubblicata sulla rivista scientifica statunitense «PNAS» la ricerca Strategic basin and delta planning increases the resilience of the Mekong Delta under future uncertainty che evidenzia il rischio per il delta del Mekong di finire sotto il livello del mare entro il 2100
Il delta del Mekong, nel sud del Vietnam, è popolato da circa 21 milioni di persone e costituisce una risorsa di importanza globale: il fiume Mekong, infatti, è il settimo al mondo per lunghezza, il dodicesimo per portata e il corso d'acqua più lungo dell’Indocina con circa 4.880 km, uno dei maggiori dell’Asia.
Un team internazionale di ricercatori, tra cui Simone Bizzi del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, ha osservato che a causa dell’innalzamento del livello dei mari, della subsidenza incentivata da un utilizzo non sostenibile delle acque sotterranee e del ridotto apporto di sedimenti fluviali al delta dovuto alla costruzione di numerose dighe per lo sviluppo di energia idroelettrica, una percentuale variabile dal 23% fino al 90% del delta del Mekong rischia di finire sotto il livello del mare entro il 2100. Questa grande incertezza è dovuta alla complessità di comprendere il funzionamento del sistema nella sua totalità: infatti, i processi del bacino fluviale a monte interagiscono con processi del delta e costieri. Lo studio integra modelli matematici di diversi componenti del sistema – trasporto solido fluviale, subsidenza, scenari climatici e innalzamento del livello del mare – e dimostra come, a causa del forte impatto antropico, la sopravvivenza stessa del delta sia a rischio.
UniTo sfata i pregiudizi sui microrganismi: perchè virus, batteri, lieviti, funghi e microalghe sono il futuro del nostro pianeta

In occasione della Giornata Internazionale dei Microrganismi, l’Università di Torino inaugura all’Orto Botanico la mostra Microrganismi straordinari, che raccoglie le fotografie scattate dai più importanti centri di ricerca europei, e presenta i propri progetti di ricerca, evidenziando come la biodiversità microbica sia una risorsa preziosa per la scienza e per l'industria
Oggi, venerdì 17 settembre, Giornata Internazionale dei Microrganismi, l’Università di Torino presenta alla stampa, all’Orto Botanico di Torino (Auletta 1, Viale Mattioli 25), l’impegno nella ricerca sul tema, che coinvolge diversi dipartimenti (Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, Dipartimento di Scienze Veterinarie Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche) e la Turin University Collection (TUCC). La TUCC riunisce tutte le collezioni di microrganismi dell’Ateneo e afferisce al network europeo MIRRI (il Microbial Resource Research Infrastructure, formato da oltre 50 centri di ricerca), di cui ambisce a diventare lo snodo italiano con spazi dedicati nella prossima Città delle Scienze e dell’Ambiente di Grugliasco.
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