Dall’Adriatico all’Oceano per capire i cambiamenti globali

Capire come le masse d'acqua si mescolino e trasferiscano il calore è il passo fondamentale per capire come i movimenti oceanici influiranno sul clima del prossimo secolo. Senza questa conoscenza, tutti i modelli numerici che prevedono gli effetti del cambiamento climatico nei prossimi secoli non potranno che dare informazioni approssimative

Un gruppo internazionale di oceanografi e sismologi, coordinato dai ricercatori dell’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Venezia (Ismar-Cnr), ha effettuato a bordo della nave Urania, nell’Adriatico centro-meridionale, la campagna Adriaseismic-09, allo scopo di sperimentare e mettere a punto nuove metodologie di ricerca.
La campagna ha consentito di acquisire dati che contribuiranno a migliorare le attuali proiezioni sugli effetti dei cambiamenti climatici globali, spiega il capo della spedizione Sandro Carniel dell’Ismar-Cnr, “in quanto l’oceano costituisce la più grande riserva di calore del pianeta, che le correnti trasportano ovunque e il cui rilascio modificando il clima di interi continenti”. Le osservazioni hanno, per la prima volta, evidenziato la presenza di onde interne all’Adriatico meridionale, “simili a quelle di superficie, ma alte parecchi metri, che si sviluppano tra due strati d’acqua di densità diversa e sono innescate dalle correnti di marea. Esse”, prosegue Carniel, come le onde marine, “possono frangersi e contribuire al mescolamento tra le masse d’acqua, alla turbolenza e all’evoluzione della temperatura e della salinità del mare”.

Conoscere la dinamica di questi processi può aiutare a capire meglio come il calore venga trasportato dalle correnti oceaniche. “Nel mare esistono masse d’acqua che hanno caratteristiche diverse, dovute a cambiamenti di temperatura e salinità o in generale di densità, e costituiscono quella che viene chiamata ‘struttura fine’”, prosegue il ricercatore dell’Ismar.
Purtroppo si sa ancora poco di come le masse d'acqua interne all'oceano si mescolino tra di loro. Ciò che ora ha permesso di pervenire a uno studio maggiormente particolareggiato rispetto al passato è stato il metodo con cui sono state condotte le ricerche. “Gli oceanogafi ‘classici’ di solito misurano questa struttura fine in modo diretto, con delle sonde calate in un punto dell'oceano” continua Sandro Carniel. “Poi si spostano con la nave in un altro punto, e così via. Questo procedimento è però lento, e rischia di dare un'immagine ‘distorta’ di quello che osservano, perchè nel frattempo le masse d'acqua si modificano per via dell’irraggiamento solare, dei venti, degli scarichi dei fiumi, eccetera”.
Solo di recente si è capito che la tecnica, sismica utilizzata dai geofisici marini per la batimetria dei fondali o per trovare giacimenti di combustibili sommersi, opportunamente integrata da altri dati e grazie a modelli matematici, può anche ‘fotografare’ la struttura dell'acqua, non solo del fondo. In questo caso possiamo parlare, quindi, di ‘oceanografia sismica’. Queste immagini consentono di avere una visione rapida di aree relativamente estese” se teniamo conto che la nave che esegue le misure acquisisce dati viaggiando a circa 6-7 chilometri all’ora.
“È una vera novità e in Adriatico per la primissima volta si è dimostrata la sua applicabilità  su mari non profondi, di 200 metri al massimo”, conclude Carniel aggiungendo che “Nell'immediato futuro i ricercatori dell’Ismar-Cnr saranno impegnati a stabilire rapporti di causa-effetto tra le strutture osservate durante questa innovativa campagna ed evidenze del riscaldamento climatico globale, in atto anche alle nostre latitudini”.

 

 

Guido Donati

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Settembre 2009 10:26
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