Ambiente

Ambiente (655)

 


L’Università di Pisa partner della ricerca pubblicata su Nature Communications e basata sulle analogie fra l’ultimo periodo interglaciale e la situazione attuale


Più arido e con minori precipitazioni, potrà essere così il clima del Mediterraneo nei prossimi cento anni secondo quanto emerge da uno studio internazionale pubblicato su Nature Communications e al quale hanno partecipato come unici italiani Eleonora Regattieri e Giovanni Zanchetta del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. La ricerca, che complessivamente ha coinvolto 12 istituzioni fra cui l’University College di Londra come capofila, si basa sull’idea che l’analisi del clima passato, in questo caso l’ultimo periodo interglaciale (129-116 mila anni fa), possa fornire fondamentali indicazioni per capire le tendenze attuali e future.
“Lo studio dell'ultimo periodo interglaciale è particolarmente rilevante perché è stato caratterizzato da un intenso riscaldamento artico, con temperature più alte di alcuni gradi rispetto a quelle attuali e quindi paragonabili agli scenari di riscaldamento previsti per la fine di questo secolo”, spiega Giovanni Zanchetta.

 

Computer vision ed intelligenza artificiale consentono a un team di ricercatori italiani e spagnoli, coordinato dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche, di monitorare in modo automatico le variazioni di abbondanza delle specie marine: lo studio è pubblicato su Scientific Report

In un recente articolo, pubblicato sulla rivista Scientific Report, un team internazionale di ricercatori coordinato dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Imar) di La Spezia, in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), l’Università Politecnica della Catalogna ed il Consiglio superiore di ricerca scientifica spagnolo (Csic), dimostra come la computer vision e l’intelligenza artificiale siano in grado di cambiare il modo in cui valutiamo l’abbondanza delle specie ittiche e le sue variazioni temporali.

Un esempio di correlazione tra dati di abbondanza ottenuti tramite conteggio manuale (linea rossa) e dati di abbondanza ottenuti tramite riconoscimento automatico (linea blu).


“La tecnica messa a punto si basa su una metodologia di apprendimento automatico supervisionato, ovvero un insieme di processi matematici che permettono ai computer di imparare a riconoscere e contare in modo automatico individui fotografati nel loro ambiente naturale o in prossimità di strutture artificiali di osservazione”, spiega Simone Marini di Cnr-Ismar, coordinatore del team internazionale. “L’applicazione di questi algoritmi su migliaia di immagini dimostra come il metodo possa essere utilizzato per tracciare in maniera affidabile le variazioni temporali di abbondanza di pesci in diverse condizioni operative. Abbiamo validato la metodologia su 22.000 immagini, contenenti circa 176.000 pesci, acquisite ogni 30 minuti, giorno e notte, per un periodo di due anni dall’osservatorio marino Obsea (http://www.obsea.es/) posizionato al largo di Barcellona e gestito dall’Università Politecnica di Catalogna e dal Csic spagnolo”.
L’efficacia dell’algoritmo nel riconoscimento degli individui è stata validata dell’Università Politecnica delle Marche in collaborazione con Ispra tramite metodologie statistiche capaci di correlare le variazioni di abbondanza stagionali con differenti variabili biotiche ed ambientali.

 


Un team coordinato dall’Istituto dei sistemi complessi del Cnr ha chiarito con un approccio matematico il meccanismo alla base della capacità delle berte maggiori di compiere rotte lunghissime in mezzo al mare. A guidarle è una mappa olfattiva guidata dagli odori presenti sul mare e trasportati dalla turbolenza atmosferica. Lo studio è pubblicato su Scientific Reports


Alcune specie di uccelli marini come la berta maggiore riescono a compiere viaggi di migliaia di chilometri in mezzo al mare per trovare il cibo e poi ritornare al nido: uno studio internazionale coordinato dall’Istituto dei sistemi complessi (Isc) del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze ha chiarito, con l’ausilio di modelli matematici, che il meccanismo alla base delle lunghe navigazioni è olfattivo, cioè guidato dagli odori trasportati dalla turbolenza atmosferica, indispensabile in alto mare, in assenza di qualunque riferimento topografico. Lo studio, pubblicato su Scientific Reports, ha coinvolto anche ricercatori italiani dell’Ispra, portoghesi del Marine and Environmental Sciences Centre (MARE) e britannici del Rothamsted Research.



Abitano i nostri mari da 600 milioni di anni, il loro corpo è costituito dal 98 per cento di acqua ed è composto da una parte superiore, detta “ombrella”, dalla caratteristica forma a campana e da una parte inferiore, i tentacoli, più o meno lunghi a seconda delle specie. Le meduse sono le protagoniste della mostra che l’Università di Milano-Bicocca inaugurerà venerdì 19 ottobre presso l’edificio U6, nell’ambito delle celebrazioni del Ventennale dell’Ateneo, grazie alla collaborazione con l’Acquario di Genova, l’Acquario di Milano e il Museo Civico di Storia Naturale di Milano.

Attraverso un percorso che si snoda tra dieci acquari, fossili rari, suggestive fotografie e riferimenti letterari si scoprirà come si muovono e come mangiano le meduse, qual è la loro importanza per l’ecosistema marino, e ancora, quali sono le caratteristiche che le rendono una presenza estiva poco gradita ai bagnanti.

Diverse le specie ospitate nella mostra provenienti dall’Acquario di Genova, specializzato ormai da anni nella riproduzione di questi delicatissimi animali: una specie cosmopolita – la medusa quadrifoglio Aurelia aurita – e tre specie tropicali - Phyllorhiza punctata, Cassiopea andromeda, la medusa che vive a testa in giù, e Sanderia malayensis.

Dall’ecologia alla medicina, la mostra offre l’opportunità di approfondire gli aspetti interdisciplinari di questo universo trasparente: l’aumento del numero di meduse dovuto alla diminuzione di predatori naturali come le tartarughe marine, il loro rapporto con il problema dell’inquinamento da plastica in mare e il loro utilizzo come cibo del futuro.

 

La natura non è solo un elemento fondamentale per il nostro benessere quotidiano ma rappresenta anche una ‘scuola’ importantissima per i bambini che, purtroppo nei Paesi di più antica industrializzazione, sono costretti a stili di vita sempre più sedentari, con minori gradi di autonomia e costretti ad attività, esperienze e socialità sempre più virtuali.

Si tratta di un vero e proprio deficit di natura (espressione coniata dal giornalista americano Richard Louv) che ormai condiziona in modo evidente la crescita e la salute psicofisica delle nuove generazioni. È questo il cuore del report “Benessere e natura: città verdi a misura di bambino” lanciato dal WWF in occasione di Urban Nature (la festa della biodiversità urbana), realizzato in collaborazione con l’Associazione Italiana Studi sulla Qualità della Vita AIQUAV, che riunisce i migliori esperti che si occupano di benessere e qualità della vita e con il contributo del gruppo di lavoro su Ambiente&Salute dell’Associazione Culturale Pediatri (ACP) e di LABUS, il Laboratorio per la Sussidiarietà.
“Come se non bastasse il debito economico di cui dovranno farsi carico negli anni a venire sulle spalle dei nostri giovani grava anche un ‘debito di natura’ che sta progressivamente erodendo salute, benessere e qualità della vita”. Dichiara la presidente del WWF Italia Donatella Bianchi che aggiunge: “Se non si inverte la rotta non solo i nostri giovani dovranno fare i conti con lo sfruttamento intensivo delle risorse, che consuma vorticosamente “Natura”, ma si troveranno a crescere in habitat sempre più artificiali. Il deficit di natura di cui si occupa il nostro Report è ormai una ‘patologia sociale’ che possiamo misurare quotidianamente osservando la vita e i comportamenti dei nostri ragazzi, sempre più abituati ad una dimensione virtuale della vita e della natura.

Per questo è necessario correre ai ripari: con Urban Nature vogliamo provare a favorire la riscoperta della natura, anche di quella che abbiamo vicino a casa o a scuola. Però è necessario che anche le istituzioni, locali e nazionali si attivino per garantire più verde alle nostre città, che significa più salute, più benessere e miglior qualità della vita”.
Oggi siamo di fronte ad un paradosso: i giovani, che potrebbero aspirare a guidare la difesa della natura, hanno sempre meno a che fare con essa. Secondo un’indagine Istat del 2017 il 93% dei bambini in età compresa tra i 6 e i 10 anni, guarda la TV tutti i giorni. Il dato scende al 87,7% per i ragazzi di età compresa fra gli 11 e i 14 anni che con molta probabilità sono già più attratti dal web. I ragazzi occidentali passano in media 44 ore della alla settimana davanti a TV e media elettronici. Escludendo le ore di sonno, questa percentuale tempo occupa una buona parte della giornata tipo di un giovane: circa 6 ore e mezza.

 

Secondo gli esperti del Global Footprint Network con questo stile di vita avremo bisogno di 1,7 pianeti

 
Oggi meno del 25% della superficie complessiva delle terre emerse del nostro pianeta sono in una situazione naturale
 
WWF: urgente un piano globale per la difesa della biodiversità planetaria, il nostro capitale naturale
 
L’umanità utilizza risorse naturali più velocemente di quanto gli ecosistemi della Terra siano in grado di rigenerare: il 1 agosto 2018 secondo gli esperti  del Global Footprint Network avremo consumato le risorse naturali che il nostro Pianeta è in grado di rigenerare in un anno. Dal 2 agosto, staremo simbolicamente erodendo il capitale (naturale) del pianeta. 
"In pratica è come se stessimo usando 1,7 Terre - sottolinea Gianfranco Bologna, Direttore Scientifico WWF Italia - . Secondo i calcoli del Global Footprint Network il nostro mondo è andato in overshoot nel 1970 e da allora il giorno del sovrasfruttamento è caduto sempre più presto. Il deterioramento dello stato di salute degli ecosistemi e della biodiversità presenti sulla Terra continua a crescere - continua il direttore scientifico del WWF Italia - . Le ricerche più autorevoli ci documentano che allo stato attuale il degrado dei suoli della Terra dovuto all’impatto umano sta esercitando un ruolo fortemente negativo sul benessere umano, in particolare per almeno 3.2 miliardi di individui, e sta contribuendo alla sesta estinzione di massa della ricchezza di biodiversità della Terra. La valutazione del costo complessivo di questo degrado, causato dalla perdita di biodiversità e dei servizi ecosistemici, viene valutato in più del 10% del prodotto lordo mondiale. Al 2014 più di 1.5 miliardi di ettari di ambienti naturali sono stati convertiti in aree coltivate. Oggi meno del 25% della superficie complessiva delle terre emerse del nostro pianeta sono in una situazione naturale. Secondo gli esperti si stima che, al 2050, questa quota potrebbe scendere al 10%, se non si agisce significativamente per invertire la tendenza attuale". 

Nemmeno gli ecosistemi marini sono esenti dall’impatto dell’azione umana. Il recentissimo lavoro, apparso la scorsa settimana, di alcuni tra i grandi ecologi marini e biologi della conservazione di fama internazionale (Jones Kendall ed altri “The Location and Protection Status of Earth’s Diminishing Marine Wilderness” apparso sulla rivista scientifica “Current Biology”) ha cercato di individuare lo stato della naturale integrità degli ecosistemi marini, tenendo conto dell’analisi, anche sinergica, di 15 fattori di pressione dovuti all’intervento umano. Ne risulta che, allo stato attuale, è possibile indicare che solo il 13.2% (che copre circa 55 milioni di kmq) di tutti gli oceani del mondo hanno una situazione di wilderness marina, e queste aree sono situate soprattutto nei mari aperti dell’emisfero meridionale e alle estreme latitudini.

Primi risultati dello studio su un piccolo coleottero verde, considerato scomparso da oltre un secolo e ritrovato lo scorso anno dal team di ricercatori della Sapienza nel cuneese. La ricerca, associata al ritrovamento della specie, fa luce su importanti aspetti della sua ecologia, biogeografia e biologia della conservazione. Lo studio è pubblicato sulla rivista Insect Conservation and Diversity Proprio come i mitici e inafferrabili folletti dei boschi, chiamati “salvan” dagli abitanti delle Alpi Marittime, una isolatissima specie di piccoli coleotteri verdi della famiglia dei Nitidulidi era sfuggita per più di un secolo alle intense ricerche degli entomologi italiani e francesi. Quando ormai era data per estinta, lo scorso anno il team di ricercatori della Sapienza, coordinato da Paolo Audisio del Dipartimento di Biologia e biotecnologie “Charles Darwin”, ha ritrovato, durante una breve spedizione in una località delle Alpi Marittime sopra l’abitato di Palanfré, pochi esemplari dell’elusivo insetto Brassicogethes salvan. Qui i ricercatori hanno finalmente individuato anche la sua pianta ospite, la rara e subendemica Brassicacea Descurainia tanacetifolia.

 



Uno straordinario video di mamma tigre con due successive cucciolate è stato realizzato dal WWF nelle foreste di Sumatra centrale, in Indonesia, sito World Heritage UNESCO. Le spettacolari immagini mostrano tre cuccioli seguire la loro mamma, poi li vediamo cresciuti nella fase di “subadulti”, successivamente l’incontro di “mamma Rima” con un  maschio e nei secondi finali una nuova cucciolata, questa volta con 4 piccoli.

“Questo video è una meraviglioso esempio di come le tigri si riproducono ‘come gatti’ "se hanno un habitat protetto, abbastanza prede e sono lasciate in pace. Per raggiungere l'obiettivo TX2 (raddoppiare i numeri della tigre allo stato selvatico entro il 2020) abbiamo bisogno della collaborazione di governi, aziende, comunità locali e di tutti coloro che si occupano di tigre per sostenere gli sforzi di conservazione”, ha dichiarato Michael Baltzer, leader del WWF Tigers Alive che aggiunge: “Apprezziamo gli sforzi del governo indonesiano per salvare questo magnifico animale e aumenteremo il nostro sostegno per incrementare la popolazione della tigre a Sumatra, attraverso il potenziamento delle aree protette e dei corridoi che permettono a questi animali di spostarsi”.
La situazione di questo meraviglioso felino resta infatti critica a causa di bracconaggio e perdita di habitat. Un secolo fa c’erano circa 100.000 tigri in natura, oggi abbiamo perso il 95% della popolazione delle tigri selvagge, e restano circa 3.890 individui nei 13 Paesi asiatici che ancora ospitano il felino: Bangladesh, Buthan, Cambogia, Cina , India, Indonesia, Lao, Malesia , Birmania, Nepal , Russia, Thailandia, Vietnam.

Nei giorni scorsi il WWF Italia ha lanciato l’iniziativa Cat4Cats in soccorso della tigre, rivolgendo un appello ai gatti italiani e chiedendo ai loro proprietari, attraverso la campagna “A-MICI” di adottare una tigre e inviare ai social Facebook, Instagram, Twitter, WWF un selfie col proprio micio che il WWF pubblicherà sui propri profili.
 
Clicca qui per vedere  il video: https://www.youtube.com/watch?v=ycSnQToUY6o

 

 

Migliora, con studi di maggior dettaglio, il quadro conoscitivo nazionale

 

Si aggiorna lo scenario del dissesto idrogeologico in Italia: nel 2017 è a rischio il 91% dei comuni italiani (88% nel 2015) ed oltre 3 milioni di nuclei familiari risiedono in queste aree ad alta vulnerabilità. Aumenta la superficie potenzialmente soggetta a frane (+2,9% rispetto al 2015) e quella potenzialmente allagabile nello scenario medio (+4%); tali incrementi sono legati a un miglioramento del quadro conoscitivo effettuato dalle Autorità di Bacino Distrettuali con studi di maggior dettaglio e mappatura di nuovi fenomeni franosi o di eventi alluvionali recenti. Complessivamente, il 16,6% del territorio nazionale è mappato nelle classi a maggiore pericolosità per frane e alluvioni (50 mila km2). Quasi il 4% degli edifici italiani (oltre 550 mila) si trova in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata e più del 9% (oltre 1 milione) in zone alluvionabili nello scenario medio.

Foto 1: Campo scientifico in un lago perennemente ghiacciato di Tarn Flat (Foto Baio © PNRA) Un team di ricerca al quale partecipa anche l’Istituto per l’ambiente marino costiero del Cnr sta studiando le forme di vita nelle brine dei laghi ghiacciati del Polo Sud, ambienti che ripropongono condizioni estreme simili a quelle presenti sul Pianeta Rosso. La ricerca è stata pubblicata su Scientific Reports

 Un team di ricerca italiano del quale fa parte anche l’Istituto per l’ambiente marino costiero del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iamc) di Messina, oltre alle Università dell’Insubria, di Perugia, di Bolzano, di Trieste, di Venezia e della Tuscia, ha studiato in Antartide le brine, liquidi molto salati, in cui prosperano microorganismi che si sono adattati a vivere in crio-ecosistemi (sistemi estremi caratterizzati da basse temperature). Lo studio è stato condotto in un lago perennemente ghiacciato di Tarn Flat, nella Terra Vittoria, dove sono stati rinvenute due distinte comunità di funghi in due strati di brine, separati da un sottile strato di ghiaccio di 12 cm. I risultati ottenuti sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports.

“Quanto evidenziato rende possibile ipotizzare una prospettiva di vita anche in ambienti analoghi, quali le Lune ghiacciate del sistema solare o Marte. L’ipotesi che possa esistere una qualche forma di vita in ambienti extraterrestri è legata al fatto che vi è stata rilevata la possibile presenza di brine, come in Antartide”, spiega Maurizio Azzaro del Cnr-Iamc, coautore dello studio. “I crio-ecosistemi sono studiati per comprendere come queste realtà funzionino sulla Terra e quali potrebbero essere le fonti di energia in grado di consentire la vita in analoghe condizioni estreme. Ancora non sappiamo se nelle brine di altri pianeti del sistema solare ci siano microbi ma per studiare la possibile abitabilità di tali sistemi extraterrestri, in futuro, si potrebbero impiantare microbi terrestri”.

 

Scienzaonline con sottotitolo Sciencenew  - Periodico
Autorizzazioni del Tribunale di Roma – diffusioni:
telematica quotidiana 229/2006 del 08/06/2006
mensile per mezzo stampa 293/2003 del 07/07/2003
Scienceonline, Autorizzazione del Tribunale di Roma 228/2006 del 29/05/06
Pubblicato a Roma – Via A. De Viti de Marco, 50 – Direttore Responsabile Guido Donati

Photo Gallery