Mega tsunami nel Mediterraneo

Un deposito di sedimenti spesso fino a 25 metri presente nel Mar Ionio sembra essere il risultato di un forte tsunami avvenuto nel 365 d.C., originato a Creta e che ha coinvolto Calabria e Sicilia. Le caratteristiche di questo deposito hanno permesso di identificare altri due eventi più antichi avvenuti circa 15 e 40 mila anni fa. La ricerca coordinata dal Cnr-Ismar è stata pubblicata su Scientific Reports
Uno studio condotto dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Ismar) ha ricostruito le tracce di uno tsunami che circa 1600 anni fa ha colpito le coste del Mediterraneo, incluse Sicilia e Calabria meridionale. La ricerca riguarda un’area abissale nel Mar Ionio, tra l’Italia, la Grecia e l’Africa, dove un deposito di sedimenti marini che raggiunge i 25 metri di spessore è stato deposto in modo quasi istantaneo dalla forza catastrofica delle correnti indotte dall’onda di uno tsunami. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports.
La resilienza degli ecosistemi dell’Adriatico e l’impatto dell’attività umana sulle aree costiere

Uno studio sui molluschi fossili mostra che la fauna marina ha saputo adattarsi alle trasformazioni del clima avvenute negli ultimi 130.000 anni, ma l’impatto dell’attività umana sulle aree costiere rischia di superare i limiti di adattabilità degli ecosistemi
Gli ecosistemi marini dell’Adriatico si sono dimostrati resilienti alle variazioni climatiche avvenute negli ultimi 130.000 anni e potrebbero quindi riuscire ad adattarsi ad un aumento limitato delle temperature, se verrà ridotto e controllato l’impatto diretto dell’attività umana sulle aree costiere.
A mostrarlo sono i risultati di un nuovo studio pubblicato sulla rivista Global Change Biology e guidato da Daniele Scarponi, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna. “I dati emersi dalle associazioni fossili che abbiamo analizzato documentano la varibilità delle comunità in relazione ai mutamenti climatici del passato e sottolineano la capacità di adattamento che la fauna marina dell’Adriatico ha mostrato rispetto ai cambiamenti ambientali di lungo periodo avvenuti negli ultimi 130.000 anni”, spiega Scarponi. “Al tempo stesso, questi risultati sono un riferimento per valutare l’impatto dell’attività umana sulle regioni costiere che, tra inquinamento, pesca intensiva e introduzione di specie invasive, rischia di portare queste aree al di fuori dei
limiti di adattabilità degli ecosistemi marini”.
Nuova tecnologia rileva le microplastiche prodotte dagli pneumatici

Uno studio dell’Istituto per i processi chimico-fisici del Cnr, in collaborazione con le Università di Göteborg e Le Mans, mostra come le pinzette ottiche Raman possano essere utilizzate per rivelare micro e nanoparticelle generate dall’abrasione degli pneumatici durante i processi di accelerazione e frenata. I risultati potranno aiutare a sviluppare gomme più sostenibili e con un minore impatto sulla salute. La ricerca è pubblicata su Environmental Science: Nano
L’abrasione degli pneumatici durante la circolazione dei mezzi di trasporto causa il rilascio di microparticelle inquinanti nell’ambiente, un fenomeno in forte crescita su scala globale. Le particelle si accumulano ai bordi delle strade per poi defluire nei corsi d'acqua, inquinando l'ecosistema idrico e causando preoccupazioni per la salute degli ecosistemi interessati. A causa degli attuali gap metodologici nelle tecniche di analisi, le microplastiche più piccole di 5 µm (micrometri) rimangono in gran parte non quantificate.
Lotta tra triceratopi: la ferita nel collare di “Big John”

Uno studio sui resti fossili del più grande triceratopo mai scoperto mostra lesioni al cranio che potrebbero derivare da un combattimento con un altro dinosauro della stessa specie. L’analisi è stata possibile anche grazie ad un progetto di formazione e ricerca che ha coinvolto uno studente di Paleontologia dell'Alma Mater.
I resti fossili di “Big John”, il più grande triceratopo mai scoperto, mostrano lesioni al cranio che potrebbero derivare da un combattimento con un altro dinosauro della stessa specie. La scoperta – pubblicata su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature – nasce da uno studio che ha coinvolto ricercatori dell’Università degli Studi “G. d'Annunzio” Chieti-Pescara, del laboratorio Zoic di Trieste e dell’Università di Bologna.
La soia nascosta nel piatto che distrugge le foreste

Ogni cittadino europeo ne consuma in media 60 chilo di soia l'anno: nuovo studio del WWF per la campagna Food4Future.
Nuovo studio WWF per la campagna Food4Future: il 75% della soia prodotta (340 milioni di tonnellate) è destinato alla produzione di mangimi, causando la distruzione della natura in Sud America
Non avete mai assaggiato il tofu, non siete vegani né vegetariani e forse siete convinti che la soia non sia presente nella vostra alimentazione. Non è così: chi mangia carne, pesce, uova o formaggi in realtà sta inconsapevolmente consumando una grande quantità di soia.
I 7 consigli del WWF per una pasqua sostenibile

COME FESTEGGIARE SENZA SPRECHI, ALLEGGERENDO IL NOSTRO IMPATTO SUL PIANETA
Con l’arrivo della Pasqua aumentano i consumi, ma ci sono alcune semplici scelte che in questo periodo possiamo fare per festeggiare alleggerendo il nostro impatto sul Pianeta.
Ecco i 7 consigli del WWF per una Pasqua sostenibile:
1 – Decorazioni Fai-da-te
Non c’è bisogno di acquistare troppe decorazioni, possiamo crearne alcune con uova dipinte, nastri, fiori di carta e altri materiali di riciclo. Se non abbiamo i colori per dipingere le nostre uova, ricordiamoci che si possono realizzare anche con cibi e spezie: la curcuma per tingere di giallo, la paprika per l’arancione, le rape rosse per il fucsia, il caffè per il marrone, gli spinaci per il verde, il vino rosso per il viola. E soprattutto non dimentichiamoci di utilizzare l’interno delle uova per preparare le nostre ricette tradizionali con prodotti locali.
Dalla Medicina evoluzionistica un nuovo tassello per la comprensione della complessità del cervello umano

Lo studio, pubblicato su Journal of Neuroscience, e coordinato dall’Università degli Studi di Milano, rivela come una variazione genetica fissata dalla selezione naturale nel cervello dei primati superiori possa concorrere all’insorgenza di patologie neuropsichiatriche.
La medicina evoluzionistica è un approccio della ricerca biomedica che ha l’ambizione di contribuire alla comprensione del percorso evolutivo che ha portato gli esseri umani al loro stato attuale. Questo tipo di studio si rivela un prezioso strumento per la comprensione dell’evoluzione delle funzioni più complesse del cervello umano, come le emozioni, il linguaggio e la creatività, ma anche dei meccanismi alla base di alcune malattie specifiche del cervello umano. E’ questo approccio che ha guidato la ricerca condotta dal gruppo di Elena Battaglioli e Francesco Rusconi, del dipartimento di Biotecnologie mediche e medicina traslazionale dell’Università Statale di Milano, svolta principalmente da Chiara Forastieri con la collaborazione di Beatrice Bodega e Valeria Ranzani.
Calderone, restano circa 25 metri di ghiaccio

Ricognizione organizzata da Cnr e Università Ca’ Foscari con esperti di Ingv e Università di Padova in vista del carotaggio previsto per fine aprile. Dai dati emerge la ‘fotografia’ più nitida sullo stato del corpo glaciale più meridionale d’Europa.
Circa 25 metri di ghiaccio nascosto da una coltre di pietre all’ombra delle pareti del Gran Sasso. E’ quanto rimane del Calderone, il corpo glaciale più meridionale d’Europa e unico degli Appennini, secondo i dati forniti dal georadar che ne ha percorso la superficie nei giorni scorsi, nell’ambito di una campagna di rilevamento e di raccolta di campioni di ghiaccio in situ.
Se le carote di ghiaccio del Calderone si dimostreranno un archivio sufficientemente conservato, potranno ambire a essere custodite per decenni nel ‘santuario’ dei ghiacciai montani in sofferenza che sarà realizzato dal programma internazionale Ice Memory, iniziativa co-ideata e coordinata in Italia da Carlo Barbante, direttore dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) e professore all’Università Ca’ Foscari Venezia.
Come passare da outsider a innovatore di successo? Lo spiega Coco Chanel

Uno studio approfondito sulla vita della grande designer e imprenditrice, capace di rivoluzionare il mondo della moda, rivela i tre ingredienti fondamentali che possono permettere anche a chi parte dai margini di inserirsi in un ambiente restio ai cambiamenti, trasformarlo e ottenere grandi risultati.
Da completa outsider, cresciuta in un orfanotrofio, a imprenditrice di straordinario successo, capace di rivoluzionare con innovazioni radicali un mondo – quello dell’alta moda – immerso in un contesto socioeconomico maturo, dominato dagli uomini e restio ai cambiamenti. Gabrielle “Coco” Chanel è stata la prima designer ad aver avuto un impatto globale e una delle donne più influenti del XX secolo. Ma come è riuscita, partendo da zero, a farsi strada in un mondo tanto conservatore e maschile, finendo per stravolgerlo?
L’emicrania e il cosiddetto “buco nel cuore” Ecco perché si accompagnano

Il Centro Cardiologico Monzino e l’Università degli Studi di Milano hanno spiegato per la prima volta la correlazione tra emicrania e un difetto cardiaco congenito, il Forame Ovale Pervio.
Lo studio pubblicato oggi su Journal of American College of Cardiology Basic to Translational Science (JACC BTS).
Uno studio del Centro Cardiologico Monzino e Università Statale di Milano, pubblicato oggi sul prestigioso Journal of American College of Cardiology Basic to Translational Science (JACC BTS), spiega per la prima volta il meccanismo fisiopatologico che correla l’emicrania con aura al difetto cardiaco congenito del Forame Ovale Pervio (PFO) - comunemente chiamato “buco nel cuore”- cioè la mancata chiusura totale alla nascita della comunicazione tra atrio destro e sinistro del cuore. Lo studio conferma inoltre i dati già noti di regressione delle crisi emicraniche in circa il 70% dei casi a seguito dell’intervento percutaneo di chiusura del forame ovale.
Infatti, diversi studi osservazionali avevano già evidenziato una relazione fra emicrania con aura e PFO, segnalando che circa il 35% dei soggetti affetti da PFO soffre di emicrania con aura (per il 70% sono donne) e che in questi pazienti gli attacchi di emicrania spariscono o si riducono in modo significativo dopo la procedura interventistica di chiusura del forame. Tuttavia non è mai stato chiarito il meccanismo che lega PFO e sintomo emicrania con aura.
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